La nuova statua del bacio ci rappresenta nella memoria e nell'identità

Il posizionamento della statua “Il bacio della memoria di un porto” restituisce finalmente alla città un po’ di bellezza, di bontà e di giustizia

Incontro con il Sindaco per intitolare una piazza alle vittime dei bombardamenti

Il Comitato 14 Maggio ha avanzato una richiesta scritta di intitolare il piazzale compreso tra via Mazzini e Via Gorizia alle vittime civili dei bombardamenti anglo-americani

Anniversario della nascita dell'Optimus Princeps, il fondatore di Civitavecchia

Ogni nuovo Imperatore dopo Traiano veniva salutato dal Senato con l'augurio: possa tu essere più fortunato di Augusto e migliore di Traiano (Felicior Augusto, melior Traiano)

Recensione della nostra visita presso la Macchina del Tempo Civitavecchia

E’ una calda sera di agosto quella che ci vede, insieme ad alcuni simpatizzanti, in visita presso la Macchina del Tempo, progetto inedito a cura di Roberta Galletta, divulgatrice storica

14 maggio, Anniversario dei bombardamenti anglo-americani su Civitavecchia

Il Comitato ha deposto un omaggio floreale presso il Monumento alle Vittime civili dei Bombardamenti, partecipando alla cerimonia ufficiale insieme alle autorità locali per ricordare quanti hanno perso la vita durante la 1° incursione aerea alleata.

27 gennaio 2021

Comunicato: Valorizziamo la villa dell’imperatore Traiano!

In occasione dell’anniversario dell’ascesa al trono di Traiano in qualità di Imperatore di Roma, risalente al 27 gennaio del 98 d.C., il Comitato 14 Maggio oltre a commemorare solennemente tale evento, denuncia lo stato di abbandono che interessa l’area archeologica dell’antica villa dell’imperatore, situata fra la caserma “Giorgi” e l’Ospedale San Paolo.  Un prestigioso sito di valore inestimabile - menzionato persino negli scritti di Plinio il Giovane - che testimonia il legame di Civitavecchia con uno dei più grandi imperatori che la storia ricordi.

L'imperatore Traiano, infatti, oltre ad essere il fondatore della città, rappresenta anche un ponte con l'eredità eterna di Roma, motivi per i quali ogni pietra del patrimonio archeologico attuale, andrebbe scupolosamente curata.

Auspichiamo che la recente istituzione del Parco Archeologico di Aquae Tauri, possa finalmente rappresentare un segnale incoraggiante verso la valorizzazione del patrimonio culturale locale, anche con l’inserimento della villa imperiale nell’ambizioso progetto. Il Comitato a riguardo, è fin d’ora disponibile ad una proficua collaborazione. 

Il Direttivo del Comitato 14 Maggio




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La villa dell'Imperatore Traiano a Civitavecchia | Un tesoro dimenticato

In occasione dell'anniversario dell'ascesa al potere dell'imperatore Traiano riproponiamo una denuncia pubblica risalente al 2010 sullo stato del sito archeologico dell'antica villa dell'imperatore romano. Undici anni più tardi, infatti, nulla è cambiato e l'area archeologica rischia ora di vedere le sue preziose rovine scomparire inghiottite dalla vegetazione. 

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Una villa bellissima cinta da campi verdissimi, che domina la spiaggia, nel cui seno si sta ora costruendo un porto”. Ed in qualche modo sono ancora veritiere le parole che Plinio il Giovane scriveva quasi 2000 anni fa nel suo panegirico all’imperatore Traiano: la villa civitavecchiese dell’imperatore è ancora circondata dal verde, in una zona incolta e abbandonata fra la Scuola di Guerra e l’Ospedale San Paolo. La villa è un patrimonio archeologico inestimabile, che correda le già eccezionali Terme taurine e che, come per molte altre meraviglie del nostro territorio, è gettato nell’incuria.

L’ultimo a preoccuparsene fu forse Antonio Manunta, nell’ormai lontano 2010. Inviando alle redazioni foto aeree della zona, Manunta scriveva: “Si possono vedere la base del peristilio, la probabile piscina, l’abside circolare e probabili ambienti termali, visto che si trovava a metà strada fra Terme e porto come descritto da Plinio il Giovane. Tali elementi sono evidenti, dall’alto e da vicino. In quei terreni sino al 1996 non esistevano costruzioni. Le foto attuali dimostrano, invece, che molte case son state costruite anche a ridosso della Villa di Traiano e altre se ne vorrebbero edificare intorno”. Ma dopo di ciò? Nulla. La villa è di nuovo sparita fra i cespugli e le erbacce che ne impediscono la vista, inghiottita dal cemento degli edifici troppo alti, dimenticata da tutti, sconosciuta ai più.

Cosa si potrebbe fare con un patrimonio del genere? Forse dovremmo chiederlo al Museo Civico Archeologico Villa Di Traiano di Arcinazzo, che apre ogni giorno al pubblico le proprie meraviglie tanto simili alle nostre. Civitavecchia potrebbe avere un enorme parco archeologico, che dalle Terme Taurine arriva fin quasi al cuore della città, comprendendo gli straordinari resti della villa imperiale, eppure tutto è lasciato a marcire in una zona disabitata, sconosciuta e invisibile, che priva tutti di una fetta importante della storia della nostra città.

Lorenzo Piroli







Fonte: centumcellae news
Foto: Francesco Cristini
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22 gennaio 2021

L'antico faro del porto di Civitavecchia

Il faro nel 1860

di Francesco Etna

In queste immagini si può vedere com’era l’antico faro posto sulla bocca di levante del porto di Civitavecchia. I lavori di costruzione erano iniziati nel 1616 per ordine da Paolo V, ma quelli più imponenti furono intrapresi alcuni anni dopo, tra il 1624 e il 1644, sotto il pontificato di Papa Urbano VIII.  La torre, come riferisce Alessandro Cialdi,  era “di forma cilindrica a doppia rientrata, rivestita da pietra da taglio, alta metri 37 dal foco luminoso al livello del mare, con terrazzo alla prima rientrata fornito di parapetto merlato, ed altro terrazzo con ringhiera a livello della camera d’apparecchio”. L’accesso era assicurato da una scala esterna “a foggia di rombo con quattro branche”, mentre una scala interna che seguiva la curva delle pareti permetteva di raggiungere il quinto piano della torre, da cui si dipartiva una scaletta di ferro che raggiungeva il terrazzo e la “camera d’apparecchio”, cioè quella in cui era alloggiato il faro. Inizialmente la lanterna luminosa era solo “un piccolo fanale fisso sulla cima di un’asta che per mezzo di varie corone di lumi mandava a breve distanza il suo pallido raggio”, solo nel 1840 vi fu posto “altro fanale a macchina con eclisse, il quale discernevasi a sole cinque miglia in mare e non poteva per ciò rispondere agli importanti e crescenti bisogni della marina e del commercio”. Fu così che nel 1846, Pio IX, diede incarico ad Angelo Secchi, un tecnico di ampie conoscenze che, tra l’altro, ebbe modo di  occuparsi per lo Stato Pontificio ,  di  numerosi aspetti legati alla protezione civile. Egli infatti si dedico' alla collocazione di parafulmini sui monumenti, a misure antincendio nelle basiliche romane, a servizi di allerta meteo. Il Secchi dopo aver visitato i fari di Genova e Marsiglia si recò a Parigi presso la famosa officina di Augustin Henri-Lepaute  specializzata nella costruzione di lampade e meccanismi per fari. In seguito alla missione di Secchi, il faro di Civitavecchia e quello di Ancona, nel 1860, furono finalmente dotati di grandi lampade con lenti di Fresnel fornite da Lepaute.  Si trattava di un sistema lenticolare a luce bianca girante (a lampi con eclissi) del diametro interno di 1,5 metri in grado di diffondere raggi pressochè paralleli a molte miglia di distanza. 

Di seguito, la prima immagine mostra come apparirebbe il faro se fosse ancora dov'era. A seguire: il faro di Civitavecchia e quello di Ancona disegnati dal Cialdi e altre immagini che lo raffigurano come appariva nel 1860.








Raggi concentrati parallelamente dai vari prismi disposti sulla lente di Fresnel

Lente di Fresnel




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17 gennaio 2021

Consigli per la lettura | Exempla


 Il libro

Queste pagine si propongono di guidare il lettore alla riscoperta dell’eredità spirituale europea: far conoscere e amare le radici culturali, il profumo e la bellezza dell’anima dell’Europa per riconoscere in essa, e attraverso essa, la nostra identità e intravedere gli orizzonti di un nostro auspicabile futuro che germogli dalle nostre radici. Dedicata alla Grecia e a Roma, questa antologia di testimonianze tratte dalle fonti antiche, tra le quali primeggiano Omero e Virgilio, è stata ordinata attorno ai valori ideali cantati dai vati e incarnati dagli eroi. Come la fiamma evoca dalla materia combustibile la potenza ignea in essa racchiusa, gli exempla contenuti in queste pagine possiedono il potere di suscitare il ricordo della nostra appartenenza culturale e spirituale, un ricordo capace di far fluire nella mente e nell’anima il vasto e profondo anelito a una vita votata alla bellezza, all’altezza, alla luce.

L’Autore

Mario Polia (Roma, 20 maggio 1947), archeologo, antropologo ed etnografo, nonché specialista in antropologia religiosa e storia delle religioni, ha diretto in Perù un programma di ricerca sulle tradizioni indigene e sullo sciamanesimo andino. Vincitore del Premio Paolo Toschi (1999) per la ricerca sul campo, è oggi curatore del Museo Demo-antropologico di Leonessa (Rieti). Già docente di ‘Antropologia Medica’ presso la Pontificia Universidad Católica di Lima e di ‘Antropologia’ alla Pontificia Università Gregoriana di Roma, alterna ad una prolifica attività di saggista quella di conferenziere in Italia e all’estero.

Fonte: cinabroedizioni.it

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6 gennaio 2021

I Re Magi e la festa dell'Epifania | di Alfredo Cattabiani

Gentile da Fabriano - Adorazione dei Magi
La grotta, i pastori, il bue e l’asino: per completare la scena della Natività mancano ancora i Re Magi e la misteriosa stella di cui parla Matteo nel suo vangelo. «Alcuni Magi» narra «giunsero da Oriente a Gerusalemme e domandavano: “Dov’è il re dei Giudei che è nato? Abbiamo visto sorgere la sua stella e siamo venuti per adorarlo”. All’udire queste parole il re Erode si turbò e con lui tutta Gerusalemme. Riuniti tutti i sommi sacerdoti e gli scribi del popolo, s’informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Messia. Gli risposero: “A Betlemme di Giudea perché così è scritto per bocca del profeta: E tu Betlemme, terra di Giuda non sei davvero il più piccolo capoluogo di Giuda: da te uscirà infatti un capo che pascerà il mio popolo, Israele”. Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme esortandoli: “Andate e informatevi accuratamente del bambino e, quando lo avrete trovato, fatemelo sapere perché anch’io venga ad adorarlo”. Udite le parole del re, essi partirono.

Ed ecco che la stella, che avevano visto nel suo sorgere, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella essi provarono una grandissima gioia

Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti poi in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero il ritorno al loro paese.» (104)
Matteo si limita a riferire che i Magi, di cui non specifica il numero, giunsero dall’Oriente guidati da una stella, adorarono il Cristo e infine gli donarono oro, incenso e mirra.
Questo episodio, che per la Chiesa è autentico, ha suscitato fin dai primi secoli in Oriente, e poi in Occidente, una collana di leggende che contengono anche elementi storici. Si pensi che uno dei Magi, chiamato nei vangeli apocrifi Gaspar, visse in quell’epoca. Si chiamava Vindhapharna, ovvero conquistatore del Farr – la «forza- splendore» – e fu tradotto in armeno in Gathaspar e in greco Gondhofares. Era un principe, e poi re, di un territorio situato in un’area fra l’attuale Afghanistan e l’India; e come spiega Mario Bussagli, «fu sicuramente un mago e un astrologo e – verosimilmente ebbe inflessioni di tipo alchimistico» (105).

L’episodio dei Re Magi è ripreso in vari vangeli apocrifi dell’infanzia (106) fra i quali due meritano di essere citati perché contengono notizie illuminanti. Nel Vangelo arabo- siriaco dell’infanzia si narra che «…vennero a Gerusalemme dei Magi, come aveva predetto Zaradusht», ovvero Zoroastro (107). In quello armeno, che è un tardo rifacimento del precedente con notevoli ampliamenti e aggiunte, appaiono i nomi dei Magi che sono tre, mentre negli altri testi il numero non era specificato: tre, forse in funzione dei tre doni. «Subito un angelo del Signore» narra il Vangelo armeno «si recò nel paese dei Persiani per avvertire i Re Magi che andassero ad adorare il neonato. E costoro, guidati da una stella per nove mesi, giunsero a destinazione nel momento in cui la vergine diventava madre. In quel tempo il regno dei Persiani dominava per la sua potenza e le sue conquiste su tutti i re che esistevano nei paesi d’Oriente, e quelli che erano i Re Magi erano tre fratelli: il primo, Melkon, regnava sui Persiani, il secondo, Balthasar, regnava sugli Indiani, e il terzo, Gaspar, possedeva il paese degli Arabi.» (108)

Essi portano, oltre ai doni, «libri scritti e sigillati dalle mani di Dio» (109). Giunti da Erode, che domanda loro come abbiano potuto sapere della nascita del re di Israele, gli dicono: «La testimonianza che noi possediamo non viene né da uomo né da altro essere vivente. un ordine divino, concernente una promessa che il Signore ha fatto in favore dei figli degli uomini, che noi abbiamo conservato fino ad oggi». «E dov’è questo libro che soltanto il vostro popolo possiede ad esclusione di tutti gli altri?» domanda Erode. I Magi rispondono: «Nessun altro popolo lo conosce né per sentito dire né per conoscenza diretta. Solo il nostro popolo ne possiede la testimonianza scritta.
Quando Adamo dovette lasciare il Paradiso e Caino ebbe ucciso Abele, il Signore Iddio diede ad Adamo, come figlio della consolazione, Seth e con lui questo documento scritto, chiuso e sigillato dalle mani di Dio. Seth lo ricevette da suo padre e lo trasmise ai suoi figli, e i suoi figli ai loro figli di generazione in generazione. E fino a Noè essi ricevettero l’ordine di custodirlo con somma cura. Noè lo diede al figlio Sem, e i figli di questo ai propri figli, i quali come lo ricevettero lo trasmisero ad Abramo, e Abramo lo affidò al sommo sacerdote Melchisedech, e per questa via giunse al nostro popolo ai tempi di Ciro, re della Persia. I nostri antenati l’hanno deposto in una sala con grande onore, e così è pervenuto fino a noi che, avendo ricevuto questo scritto, abbiamo conosciuto in anticipo la nascita del nuovo monarca, figlio del re d’Israele» (110).
Dopo essere sfuggiti miracolosamente ad Erode che voleva impadronirsi dello scritto, i Magi giungono al cospetto di Gesù al quale re Melkon – ovvero Melchiorre – lo dona dicendo: «Ecco lo scritto, in forma di lettera, che tu hai lasciato in custodia dopo averlo chiuso e sigillato. Prendi e leggi il documento autentico che tu hai scritto…

Ordunque, quando Adamo dovette lasciare il Paradiso e Caino ebbe ucciso Abele, siccome Adamo era afflitto per la morte del figlio più che per aver dovuto lasciare il Paradiso, il signore Iddio fece nascere ad Adamo il figlio della consolazione, Seth. E come dapprima Adamo aveva voluto diventare un dio, Dio stabilì di diventare uomo per l’abbondanza della sua misericordia e del suo amore per il genere umano. Egli fece promessa al nostro primo padre che tramite suo avrebbe scritto e sigillato di propria mano una pergamena a caratteri d’oro con queste parole: “Nell’anno 6000, il sesto giorno [della settimana] io manderò il mio figlio unico, il Figlio dell’Uomo, che ti ristabilirà nella tua dignità primitiva.
Allora tu, Adamo, unito a Dio nella tua carne immortale, potrai, come noi, discernere
il bene dal male”» (111).
Il racconto echeggia sinteticamente una leggenda orientale che ispirò vari testi, fra cui
il Libro della rivelazione di Adamo al figlio Seth, scoperto nel 1945 nella Biblioteca gnostica copta di Nag Hammadi, l’Opus imperfectum in Matthaeum, un’opera latina anteriore al secolo VI (112), la Cronaca di Zuqnin, redatta dal monaco e stilita I¬s45o’ sul finire del secolo VIII (113) e il Libro della Caverna dei Tesori, che ci è pervenuto nella primitiva redazione siriaca rimaneggiata da nestoriani intorno al 500 e da monofisiti nel 750 circa, oltre che nella tarda traduzione araba, Kit45ab al-Mag¬all, compilata nel secolo X (114).
Comune a queste leggende è la credenza che i Magi, i quali abitavano in Oriente ed erano gli eredi spirituali di Zoroastro, si tramandavano di padre in figlio uno scritto attribuito a Seth dove si profetizzava l’apparizione della stella ed erano scritte le istruzioni sui doni da offrire al Salvatore.

A Seth, figlio di Adamo, l’antichità giudaica attribuiva l’invenzione della scienza astrologica (115). Per questo motivo nel Vicino Oriente Seth venne facilmente identificato con Zoroastro cui si attribuivano erroneamente dottrine di origine caldea: un’eco dell’attribuzione si trova, come ho già accennato, nel Vangelo arabo-siriaco dell’infanzia dove la predizione della venuta del Cristo è attribuita a Zaradusht-Zoroastro.
I Magi, secondo la leggenda, conservavano nella Caverna dei Tesori, sul Monte delle Vittorie, i libri di Seth. Dai loro antenati avevano ricevuto anche un ordine, come narra la Cronaca di Zuqn45in: «Aspettate una luce che vi sorgerà da Oriente, luce della Maestà del Padre, una luce che sorgerà in aspetto di stella sopra il Monte delle Vittorie e si fermerà sopra una colonna di luce dentro la Caverna dei Tesori dei Misteri Occulti». Avevano scelto fra di loro i dodici più saggi e più esperti nei misteri del cielo e li avevano preposti a scrutarlo per avvistare la stella preannunziata. Ogni anno, narra l’Opus imperfectum in Matthaeum, dopo la messa di ringraziamento per la raccolta delle messi, salivano al Mons Victorialis, sulla cui cima vi era una grotta presso la quale sgorgava una fonte di acqua purificatrice (116). I Magi, dopo le abluzioni rituali, restavano assorti in preghiera. Un giorno apparve finalmente la stella che conteneva l’immagine di un bambino sormontato da una croce.
Secondo la Cronaca di Zuqnin i Magi videro qualcosa «simile a una colonna di luce ineffabile la quale scese e si fermò sopra la caverna… E al di sopra di essa una stella di luce tale da non potersi descrivere: la sua luce era molto maggiore del sole, ed esso non poteva competere con la luce dei suoi raggi; e come nei giorni di nissan (117) la luna è visibile di giorno e quando sorge il sole è inghiottita nella luce di esso, così appariva il sole quando la stella sorse sopra di noi».
Appena la stella si fermò sopra la caverna «vedemmo» narrano i Magi «ancora aprirsi il cielo come una grande porta e uomini gloriosi portare sulle loro mani la stella di luce; e scesero e si fermarono sulla colonna di luce, e tutto il monte fu pieno della sua luce ineffabile a bocca umana. E vedemmo qualcosa simile a una mano d’uomo, più piccola ai nostri occhi della colonna e della stella, tale che non potevamo guardarla, e ci rafforzammo e vedemmo la stella che entrava nella Caverna dei Tesori Occulti, e la caverna splendeva oltre misura; e udimmo una voce umile e soave che ci chiamò e disse: “Entrate dentro senza dubitare e con amore, e vedrete una vista grande e mirabile…”. Ed entrammo timorosi… E obbedendo alla sua parola, gettammo i nostri sguardi e vedemmoquella luce ineffabile a bocca umana, che si era concentrata in sé e ci apparve nella corporatura di un uomo piccolo e umile, e ci disse: “Salute a voi, figli dei Misteri Occulti”».

 Il Cristo che svela ai Magi la sua missione salvifica mostrandosi a ognuno con un aspetto diverso: come bambino, come giovane, come uomo brutto e afflitto, oppure crocifisso o mentre scende negli Inferi, a significare che egli è l’Unità nel molteplice.
Poi la stella li accompagna, provvedendo loro viveri e rendendo il viaggio agevole, fino alla grotta di Betlemme dove i Magi vedono «la colonna di luce scendere e fermarsi davanti alla caverna, e scendere quella stella di luce e fermarsi sulla caverna, e angeli alla sua destra e alla sua sinistra… E la colonna, la stella e gli angeli entrarono e avanzarono in quella caverna dov’era nato il mistero e la luce di vita».
Deposti i doni e ascoltato il Cristo, che rivela loro ancora una volta la sua missione di Salvatore, i Magi ripartono per l’Oriente; e mentre stanno riposando al termine della prima tappa, riappare «il segno della luce» svelandosi: «Io sono in ogni luogo e non v’è luogo ove non sono; io sono dove voi mi avete lasciato perché io sono più del sole del quale non v’è luogo del mondo che ne sia privo, pur essendo esso uno, e se venisse meno al mondo, tutti i suoi abitanti starebbero nella tenebra. Tanto più sono io che sono il Signore del sole, e la mia luce e la mia parola sono maggiori di quelle del sole».
Durante il viaggio di ritorno la stella continua ad assisterli, ma il cibo che offre procura loro anche visioni beatifiche. Tornati in patria i Magi predicano la Buona Novella finché giunge nelle loro contrade l’apostolo Tommaso che li battezza con l’olio santo (118).

Queste leggende orientali sono il frutto di un processo sincretistico che tendeva a cristianizzare le tradizioni religiose dell’area mesopotamica e iranica. Ma, come sempre avviene nei processi di assimilazione, molti aspetti della religione mazdeica e di quella caldea penetrarono nella cristianità. Né v’è da scandalizzarsi poiché la Rivelazione non è una religione ma abbraccia e illumina tutte le religioni. «L’intero paganesimo» scriveva Joseph de Maistre «non è altro che un sistema di verità corrotte e spostate; ed è sufficiente, per cosìdire, ripulirle e sistemarle al loro posto per vederle risplendere di piena luce.» (119)

D’altronde, come spiegare altrimenti il credito che Matteo dà alla notizia sui Re Magi? Deponendo loro i doni nella grotta, essi riconoscevano in Lui il centro illuminante di ogni fede.
Ma chi erano nella tradizione orientale i Magi? Mago deriva da mag che significa letteralmente dono ed esprime un particolare valore religioso di cui parlano le Gâthâ dell’Avesta, il complesso dei libri sacri dello zoroastrismo. Lo stato di mag separa ciò che è spirituale da ciò che è corporeo, porta in diretto contatto con le energie divine; sicché il mago è «colui che partecipa del mag, acquisisce un potere magico per mezzo del quale può ottenere un’illuminazione, una conoscenza fuori dell’ordinario, una visione e percezione che non sono mediate né trasmesse dagli organi fisici né dai sensi» (120).
I Magi erano originariamente una tribù dell’etnia dei Medi e poi una casta sacerdotale iranica che ebbe una profonda influenza e autorità dalla decadenza del potere dei Seleucidi, eredi della parte orientale dell’Impero di Alessandro, fino alla conquista araba. Pur riallacciandosi allo zoroastrismo erano, come spiega Bussagli, una specie di «superclero, come i depositari di un supremo sapere che, in definitiva, poteva controllare la corretta esecuzione di un rito e permetteva di avere col Sacro un contatto assai diverso da quello concesso a un normale sacerdote… Sicuramente essi ebbero una preparazione astrologica e astronomica di origine caldea, ma ampliata e approfondita… Conoscevano l’interpretazione dei sogni… Potremmo dire che i Magi, per predisposizione naturale, per preparazione, per tradizione, erano in grado di entrare in sintonia con le energie e le vibrazioni dell’universo, cogliendo i segreti della materia che essi consideravano animata» (121).
Nella tradizione mazdeica, cui essi si ispiravano, si credeva nella futura epifania di una serie di Sausyant – letteralmente: Salvatore venturo – fino al Sausyant finale che avrebbe consumato il ciclo temporale presente liberandolo definitivamente dalle potenze del male. La visione mazdeica divideva la totalità pensabile in una altezza infinita di Luce nella quale, da tutta l’eternità, abita ohrmazd (in avestico Ahura Mazda), il «Signore Sapienza»; e in un abisso insondabile di Tenebreche dà ricetto all’Antagonista, alla Contropotenza di negazione e di morte, Ahriman (in avestico Angra Mainya). Fra Potenza di Luce e Contropotenza di Tenebre nulla è in comune: fra di loro vi è guerra senza quartiere, di cui la creazione visibile è la scena fino alla restaurazione finale che metterà fine alla mescolanza di bene e male nella vita storica ricacciando nel loro abisso le Contropotenze demoniache.

Nello Yasht, gli inni liturgici dell’Avesta, si narra che alla fine dei dodici millenni con i quali si esaurirà il nostro ciclo presente, una fanciulla – tipificazione terrestre e visibile di Ardvi Sura, «l’Alta, la Sovrana, l’Immacolata», l’angelo-dea delle Acque Celesti – penetrerà nelle acque del lago mistico Kansaoya, da cui emerse il Monte delle Vittorie. La Luce di Gloria si farà immanente al suo corpo, e lei concepirà «Colui che deve domare tutti i malefici dei demoni e degli uomini» (122).
Il Monte delle Vittorie è la montagna delle Aurore, Ushidarena, così chiamata perché è illuminata per prima dai fuochi dell’aurora.

Ovviamente queste immagini altro non sono che simboli di un viaggio interiore dell’anima verso l’illuminazione, come lo è ogni mito per chi sa e può contemplarlo con animo puro; sicché, spiega un altro testo iranico, «la montagna illuminata per prima dai raggi dell’aurora illumina anche l’intelligenza perché aurora e intelligenza (üsha e ushi) sono una cosa sola» (123).
Su questa «montagna» i Magi avranno la rivelazione del Salvatore che per i compilatori cristiani delle leggende non poteva non essere che il Salvatore finale, Colui che avrebbe instaurato la rinnovata esistenza la cui essenza è ignea: nuova esistenza o trasfigurazione che si è voluta considerare analoga a quella annunciata dal Cristo con la «resurrezione della carne» (124).
V’è da aggiungere che l’attesa del Salvatore era diffusa in tutto il Vicino e Medio
Oriente: basti accennare alla religione mithraica, di derivazione iranica ma intrisa di elementi sia caldaici che anatolici, dove Mithra, figlio del Sole e Sole egli stesso, era considerato il futuro restauratore del cosmo nella pace e nell’armonia. «Con sfumature enormemente diverse» osserva Bussagli «l’aspirazione a un Salvatore, a un Soccorritore, a un mondo diverso e migliore riempie di sé, fra il secolo II a.C. e il III d.C., gran parte dell’Europa e dell’Asia espandendosi poi fino al Giappone.» (125)

Non era dunque né eccezionale né straordinario che i Magi potessero adorare il Cristo o come uno dei Salvatori o, secondo le leggende cristiane, come il Salvatore finale, Colui che avrebbe restaurato l’esistenza primordiale dall’essenza ignea ovvero luminosa.

Fonte: Calendario – le feste, i miti, le leggende e i riti dell’anno” di Alfredo Cattabiani (via Centro Studi Aurhelio).
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5 gennaio 2021

Comunicato: La città si prepari per la Festa del Tricolore


Il 7 gennaio prossimo si celebrerà la Festa del Tricolore, una ricorrenza poco ricordata che evoca il giorno del 1797 quando per la prima volta, a Reggio Emilia, uno Stato della penisola, la Repubblica Cisalpina, adottò la bandiera verde, bianco e rosso, con le bande poste orizzontalmente. Nonostante le ombre che ricoprono il Risorgimento, non bisogna tuttavia misconoscere gli uomini ai quali, in buona fede e con il loro sacrificio, l'Italia deve la sua unificazione e indipendenza. Un impegno nobile simboleggiato oggi dal Tricolore.

Il Comitato 14 Maggio suggerisce all'amministrazione locale di attivarsi in vista di questa festività per verificare l'integrità delle bandiere posizionale sugli edifici istituzionali, spesso deteriorate o posizionate in maniera errata, in barba al D.P.R. 7 aprile 2000, n. 121 che ne regola l’esposizione.

Esortiamo inoltre tutti i cittadini e le associazioni del territorio ad esporre la bandiera nazionale alle loro finestre e di fronte alle loro sedi in quanto simbolo di unità e di sacrificio di quanti ci hanno preceduto e con coraggio hanno dato la vita per questo Paese.

Il direttivo del Comitato 14 Maggio

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L'Epifania | tradizione popolare, i riti, il tempo solstiziale

La Befana può senza alcun dubbio considerarsi uno dei personaggi più tipici e conosciuti del folklore italiano cui la fantasia infantile è tuttora legatissima. Personaggio mitico, personificazione della festività dell’Epifania che ricorda in ambito cristiano l’omaggio che i Re Magi offrirono a Gesù Bambino, questa creatura ha, però, origini assai più antiche, che affondano le loro radici nelle religioni precristiane.

Alfredo Cattabiani, nel suo bel libro Calendario, scrive che “il 6 gennaio era la data paleologica del solstizio d’inverno, nella quale si festeggiava il nuovo sole (…). Poi la festa venne adottata dalle chiese orientali purificata dagli elementi gnostici, sicché si trasformò nella quadruplice celebrazione della nascita di Cristo, dell’adorazione dei Re Magi, del suo battesimo e del primo miracolo di Cana”.

Molto prima della venuta di Gesù, in Egitto si celebrava il 6 gennaio la nascita del dio Eone dalla vergine Kore con una processione rituale sulle sponde del Nilo. Parimenti la dea celtica Epona può essere paragonata alla nostra Befana, ma anche alla greca Demetra, a Diana patrona della stregoneria, alle dee Berchta e Frau Holle della mitologia nordico-scandinava. In genere Epona era raffigurata su un cavallo, o posta accanto a dei cavalli, con una serie di oggetti simbolici ed era spesso sistemata in piccole edicole nelle stalle, con il compito di proteggere gli animali e di favorire l’abbondanza dei raccolti e la fertilità degli animali d’allevamento.

Il tempo solstiziale

Per gli antichi il tempo del solstizio d’inverno era ritenuto sacro e occasione per festeggiare la rinascita del sole: da quel giorno, infatti, le giornate cominciano ad allungarsi e il sole riprende vigore, nonostante la stagione diventi più fredda. Nel grande nord questo tempo durava nove giorni e nove notti: erano le magiche notti di Odino, durante le quali il mitico condottiero percorreva con la schiera dei suoi valorosi guerrieri l’arco del cielo, portando doni ai comuni mortali.

Nella Grecia antica era la dea Hera a percorrere il cielo portando doni e abbondanza durante dodici notti solstiziali. Hera, legata a Diana – da cui Herodiana, in seguito mutata in Erodiade – era la dea notturna per eccellenza, che soprintendeva al noto “Corteo di Diana”, in cui le donne pagane compivano i loro sortilegi, donne che dopo l’avvento del Cristianesimo divennero malvagie e dissolute, votate a Satana, snaturando così la loro vera origine legata ai culti di fertilità e abbondanza. Questa decadenza spiega anche, con tutta probabilità, l’aspetto attuale delle Befane: donne brutte e sdentate, dai capelli arruffati e coperte di miseri stracci, proprio come le streghe che ben conosciamo.

La Befana nella tradizione popolare

In Italia la figura è molto popolare in tutta la penisola, anche se il termine deriva probabilmente da una parola di origine toscana. Nella notte tra il 5 e il 6 gennaio la vecchietta, che si muove volando su una scopa (altro attributo proprio della strega), scivola nei camini con il suo capace sacco pieno di doni per i bambini buoni e di carbone per quelli che durante l’anno appena trascorso si sono comportati male, e sistema i medesimi nelle calze appese a bella posta vicino ai letti. befana-2

In Toscana vi è anche la canzone della Befana, la “befanata”, canto sacro, ma più frequentemente profano, che un giovane travestito da vecchia e accompagnato da suonatori ripete di casa in casa la sera dell’Epifania.

Le Befane italiane sono suddivise in una certa quantità di “tribù”, diverse da regione a regione. Ci sono le Ardoiee del circondario di Belluno; la Berta e la Giampa, sempre nel Veneto; la Donnazza di Borca del Cadore; l’Invidia, diffusa nel pesarese, che percorre le contrade portando cattiveria e mala sorte a chi ha la sventura di incontrarla: la Maratega e la Redodesa, che vivono lungo il corso del fiume Piave; nel bolognese ci sono le Borde, che provocano la nebbia. A Iesi abitano le Vecchie, nella Val di Chiana e nel circondario di Arezzo le Vecchiarine. In Istria ci sono le Rodie, che corrono cavalcando le nuvole nel vento impetuoso che, quando scoppia un temporale, spinge la grandine sulle campagne.

Anche in Lombardia la Befana si confonde con una creatura del vento. Nel milanese si dice che “balla la vèggia” quando si vede un tremolio di luce prodotto dai vapori sottilissimi che si sollevano da terra nelle giornate canicolari. Così nel pavese chiamano “vèggia” o “gibigiana” il medesimo fenomeno. Nel bresciano, invece, la “ecia” è più propriamente una strega; quando si vede sulle pietre il tremolio della calura si dice: “El bala la Ecia”. Si crede che questa strega torni sotto terra all’arrivo del freddo. A lei si devono i semi infecondi nei campi, il marciume delle erbe e le malattie delle bestie.

I riti dell’Epifania

Anticamente la notte dell’Epifania era anche l’occasione per praticare tutta una serie di riti apotropaici, in cui la tradizione cristiana si ammantava di paganesimo in un sincretismo davvero originale. E’ diffusa ancora ai giorni nostri l’usanza di “ardere la vecia”: un enorme pupazzo, composto da legna, stracci e fascine, di forma umana, viene posto su di una pila di legna e dato alle fiamme. La figura della “vecia” era una specie di capro espiatorio per esorcizzare tutto il male e per propiziarsi l’abbondanza e la fertilità dei campi. Con la distruzione della vecchia nell’immaginario popolare (forse un antico retaggio di sacrifici umani o animali) si intendeva rappresentare la fine di tutti i mali. La stessa cosa avviene la notte di Capodanno, quando si lanciano oggetti vecchi dalle finestre.

In alcune località del Veneto e del Friuli si lanciano delle ruote di legno incendiate lungo i pendii dei monti; il rito viene detto “rito della stella”, perché anticamente le ruote rappresentavano la corsa del sole nel cielo. Nel trevigiano era in uso fino a pochi decenni fa la tradizione della “notte del panevin”. Si accendevano grandi fuochi, appiccati dai bambini più piccoli del paese, e tutti prendevano a danzare attorno al falò, intonando un canto che recitava:

“Evviva il panevino,

la focaccia sotto il camino,

fagioli per i figli, fieno per i buoi,

polenta per i bambini, santità ed allegrezza”.

Nel modenese i contadini usavano colpire con un ramoscello gli alberi da frutta, ripetendo una filastrocca di buon augurio:

“Carga, carga, e tin, tin,

tan, treinta cavagn st’an ech vin

(caricati, caricati, e tienili, tienili,

fanne trenta ceste nell’anno che sta per venire)”.

Fonte: aurhelio.it
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3 gennaio 2021

Il bilancio delle attività del Comitato 14 Maggio per l'anno 2020

Il 2020 si è appena concluso e per il Comitato 14 Maggio è il momento del bilancio delle attività.

Come ogni anno il Comitato ha preso parte alla cerimonia di commemorazione delle vittime dei bombardamenti anglo-americani rimanendo l'unico rappresentante della società civile a partecipare all'evento, questa volta svoltosi in maniera ristretta a causa delle misure contro il COVID-19.

Continuando nel suo intento di rendere decoroso e centrale il Monumento alle Vittime dei Bombardamenti, il Comitato ha avanzato una proposta per intitolare ai caduti del 14 maggio lo spiazzo dinnanzi alla lastra monumentale. A tal fine sono stati incontrati il Sindaco e l'Assessore alla Cultura nonché è stata protocollata una proposta di mozione ad hoc.

Altre proposte avanzate all'amministrazione locale hanno riguardato la festività di Ognissanti e il cimitero monumentale, la riqualificazione del Monumento ai Mutilati e Invalidi del Lavoro ma anche il Monumento ai Caduti di Tutte le Guerre. 

In ambito più squisitamente culturale il Comitato ha salutato l'inaugurazione della statua del "bacio della memoria di un porto", ha visitato la "Macchina del Tempo Civitavecchia" della divulgatrice storica Roberta Galletta e recensito l'evento di intitolazione dell'anfiteatro del Parco Martiri delle Foibe a Norma Cossetto. 

Quest'anno il Comitato è stata l'unica associazione del territorio a ricordare lo storico e prestigioso gemellaggio con la città di Betlemme dando spazio all'appello di pace del Sindaco di Betlemme e continuando a segnalare all'amministrazione locale l'assenza del cartello toponomastico di Piazza Betlemme.  

Nel suo impegno per la promozione della figura dell'Imperatore Traiano, il Comitato ha iniziato una serie di consultazioni con le associazioni del territorio volte a  proporre un piano di riscoperta del fondatore della città come elemento imprescindibile dell'identità di Civitavecchia. 

Attraverso i suoi canali il Comitato ha segnalato gli eventi più importanti del territorio, gli anniversari di personalità storiche di spicco della città così come anche le date che scandiscono il tempo sacro. La partecipazione e la presenza crescente nei media del comprensorio ha inoltre consentito di far conoscere maggiormente le attività del Comitato e il suo obiettivo statutario di coltivare la memoria storica della città  


- 22/12/2020 Appello per fermare l’oltraggio al Monumento degli eroi di tutte le guerre

- 19/12/2020 Traduzione dell'appello di pace del Sindaco di Betlemme in occasione del 22° anniversario del gemellaggio tra Civitavecchia e la città palestinese

- 09/11/2020 Lettera aperta al Sindaco Tedesco per intitolare una piazza alle vittime civili dei bombardamenti anglo-americani

- 11/10/2020 Il Comitato porta all’attenzione del Comune di Civitavecchia e dell'ANMIL lo stato deplorevole dei giardini del Monumento ai Mutilati e Invalidi del Lavoro e offre la sua disponibilità per contribuire alla sua riqualificazione

- 26/09/2020 Protocollata la proposta di Mozione per l'intitolazione di “Largo Caduti 14 Maggio”

- 19/09/2020 Festività di Ognissanti e dei Morti | Agevolare i cittadini, rivalorizzare il cimitero monumentale

- 06/09/2020 Cerimonia per Norma Cossetto a Civitavecchia

- 28/09/2020 Lettera aperta al Sindaco Tedesco per il ripristino del cartello toponomastico in piazza Betlemme

- 15/09/2020 Presa di posizione sull'innaugurazione della nuova statua del bacio

- 20/08/2020 Visita presso la Macchina del Tempo Civitavecchia – Recensione

- 30/08/2020 Incontro con il Sindaco e l'assessore alla cultura per intitolare una piazza alle vittime civili dei bombardamenti

- 02/07/2020 Torre di Guardia francese presso il mercato di Civitavecchia

- 14/05/2020 Commemorazione dei bombardamenti anglo-americani su Civitavecchia

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