La nuova statua del bacio ci rappresenta nella memoria e nell'identità

Il posizionamento della statua “Il bacio della memoria di un porto” restituisce finalmente alla città un po’ di bellezza, di bontà e di giustizia

Incontro con il Sindaco per intitolare una piazza alle vittime dei bombardamenti

Il Comitato 14 Maggio ha avanzato una richiesta scritta di intitolare il piazzale compreso tra via Mazzini e Via Gorizia alle vittime civili dei bombardamenti anglo-americani

Anniversario della nascita dell'Optimus Princeps, il fondatore di Civitavecchia

Ogni nuovo Imperatore dopo Traiano veniva salutato dal Senato con l'augurio: possa tu essere più fortunato di Augusto e migliore di Traiano (Felicior Augusto, melior Traiano)

Recensione della nostra visita presso la Macchina del Tempo Civitavecchia

E’ una calda sera di agosto quella che ci vede, insieme ad alcuni simpatizzanti, in visita presso la Macchina del Tempo, progetto inedito a cura di Roberta Galletta, divulgatrice storica

14 maggio, Anniversario dei bombardamenti anglo-americani su Civitavecchia

Il Comitato ha deposto un omaggio floreale presso il Monumento alle Vittime civili dei Bombardamenti, partecipando alla cerimonia ufficiale insieme alle autorità locali per ricordare quanti hanno perso la vita durante la 1° incursione aerea alleata.

23 luglio 2019

La Rocca ai giorni d'oggi


Interessante esercizio di immaginazione quello che vede la ricostruzione ideale dell'antica Rocca di Civitavecchia, in piazza Calamatta. La ricostruzione proposta mediante una sovrapposizione fotografica, ci mostra infatti come sarebbe oggi la Rocca qualora fosse ancora in piedi, oppure qualora si sarebbe optato per la sua completa ricostruzione dopo i bombardamenti anglo-americani che distrussero oltre l'80% della città.

La foto sorprende per la maestosità dell'edificio, specialmente se paragonato alle rovine che vi sono rimaste oggi, una maestosità conferita dall'altezza della torre dell'orologio che sovrastava la città intera ma anche dalla scalinata dell'ingresso ad arco presidiata dai due leoni.

In verità, l'estetica della Rocca non era altro che il risultato della considerazione e dell'autorevolezza di cui godeva lo Stato ai tempi in cui venne costruita.

Una volta, infatti,  quando la gerarchia impregnava tutti gli aspetti della società,  anche l'architettura e la progettazione della città si modellava considerando i principi etici inderogabili. Ne derivava, così, una fondamentale gerarchia anche tra gli edifici pubblici e privati, i primi risultando più imponenti, più nobili e belli dei secondi.

Foto: Francesco Etna

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20 luglio 2019

In memoriam - Paolo Borsellino


«Al momento dello Sbarco mia madre ci vietò di accettare qualsiasi dono dagli americani.
‘La Patria è sconfitta, i sacrifici sono stati inutili, non c’è da essere felici’.
Piansi».
 Paolo Borsellino
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18 luglio 2019

Ipotesi della posizione degli antichi edifici romani attorno all'attuale porto di Civitavecchia



Immaginare la posizione di alcuni edifici romani attorno al porto mi ha indotto a un continuo ripensare a tutte le varie possibili ipotesi. Basandomi su alcuni elementi ricavati da constatazioni di Salvatore Bastianelli, alcune testimonianze dirette di Pirani, alcune elaborazioni fotografiche con relative considerazioni di Antonio Maffei, uno schizzo di Francesco Correnti vorrei cimentarmi in alcune considerazioni mie personali. Queste non vogliono in alcun modo avere pretese scientifiche di ricercatore storico, cosa che lascio a tutti gli altri illustri storici e archeologi locali. Prima considerazione da fare è sulla linea costiera ai tempi dei romani visto che il livello del mare era più basso di circa un metro e mezzo. Questo mia ipotesi si basa sul livello delle saracinesche che regolavano l'afflusso alle peschiere romane del nostro territorio che dovevano avere il livello inferiore raso alla bassa marea e quello superiore al livello di alta marea. Non solo, Pirani con Bastianelli come riferito da Antonio Maffei si recarano in barca oltre il bastione santa Rosa quando ancora non erano stati eseguiti imbonimenti per osservare e misurare il fondale in corrispondenza dei ruderi dei pilastri di un edificio che, dato l'andamento a tre navate, faceva pensare ad una basilica (ipotesi su cui sono quasi tutti concordi). .Qualcuno aveva avanzato l'ipotesi che potesse essere un arsenale, altri una cisterna. I due con la barca calcolarono la profondità del pavimento dell'edificio in circa un metro. Ritengo estremamente improbabile che un edificio fosse esattamente al livello del mare visto che in assenza di dighe le mareggiate lo avrebbero periodicamente allagato. Conseguentemente la base dell'edificio doveva essere almeno mezzo metro più alta del livello del mare non molto distante. Visto che le basi dei pilastri avevano una forma quadrangolare penso sia improbabile che fosse una basilica che normalmente era costituita da colonne e anche perché troppo decentrata rispetto al centro abitato. L'arsenale è da escludere perché troppo distante dalla darsena. L'ipotesi invece della cisterna mi sembra più plausibile perché anche se il livello minimo fosse stato di 50 cm poteva comunque rifornire d'acqua le stive delle navi. Nell'immagine tratta da Google Earth ho cercato di localizzare la cisterna/basilica, alcuni edifici supposti da Maffei in base ad alcuni rilievi fotografici aerei d'epoca. Ho ipotizzato anche un possibile luogo di un teatro in corrispondenza del vecchio ospedale data la conformazione orografica.

Fonte: Francesco Etna

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16 luglio 2019

Il navigare come simbolo eroico


Se vi è una caratteristica delle nuove generazioni, essa è il superamento dell'elemento "romantico"; il ritorno all'elemento epico. Non interessano più parole, complicazioni psicologistiche e intellettualistiche, quanto azioni. E il punto fondamentale è questo: che, a differenza di quanto è proprio ai fanatismi e alle deviazioni "sportive" delle razze anglosassoni, le nostre nuove generazioni tendono a superare il lato puramente materiale dell'azione, tendono ad integrare e chiarificare questo lato con un elemento spirituale, tornando, più o meno consciamente, a quell'agire, che è un liberarsi, un prender contatto reale, e non estetistico e sentimentale, con le grandi potenze delle cose e degli elementi. 

Ora, vi sono ambienti naturali che più particolarmente propiziano queste possibilità liberatrici e reintegratrici dell'epica dell'azione, e sono l'alta montagna e l'alto mare, con i due simboli dell'ascendere e del navigare. Qui per via più immediata, la lotta contro le difficoltà e contro i pericoli materiali, si fa mezzo per compiere simultaneamente un processo di superamento interno, per compiere una lotta contro elementi che appartengono alla natura inferiore dell'uomo e che debbono esser dominati e trasfigurati. 

Qualche generazione di superstizione positivistica, e materialistica ha fatto sì che tante belle e profonde tradizioni dell'antichità siano state sepolte nell'oblio, ovvero siano date unicamente come oggetti di curiosità erudita: ignorando e facendo ignorare il significato superiore di cui esse restano sempre suscettibili e che può esser sempre ridestato e rivissuto. 

Ciò, per esempio, va detto per l'antico simbolismo della navigazione, che è uno dei simbolismi tradizionali più diffusi in tutte le civiltà premoderne, ritrovabile con i caratteri di una uniformità strana, che ci fa pensare quanto universali e profonde debbon esser state certe esperienze spirituali dinanzi alle grandi forze degli elementi. E su ciò non crediamo inopportuno dar qui un qualche cenno. 

Il navigare - e in particolare il traversare le acque tempestose - è stato tradizionalmente innalzato al valore di simbolo, in quanto nelle acque, come acque di oceano o acque di correnti, fu sempre figurato l'elemento instabile, contingente della vita terrena, della vita soggetta a decadenza, a nascita ed a morte - e fu inoltre e più particolarmente raffigurato l'elemento passionale e irrazionale che altera questa stessa vita. Se la terraferma, sotto un primo aspetto, valse come sinonimo di mediocrità, di esistenza pavida e piccola poggiata su certezze e sostegni la cui stabilità è tutta illusoria - il lasciar la terraferma, il volgere verso il largo, l'affrontar intrepidamente la corrente o l'alto mare, dunque il "navigare", apparve spontaneamente come l'atto epico per eccellenza, non pure nel senso immediato, ma anche nel senso spirituale. 

In navigatore si presentò dunque come un sinonimo di eroe e di iniziato, come sinonimo di colui che, lasciato il semplice "vivere", vuole arditamente un "più che vivere", nel senso di uno stato superiore alla caducità e alla passione. 

Sorge allora il concetto dell'altra terraferma, quella vera, che si identifica con la stessa mèta del "navigatore", con la conquista propria alla epica stessa del mare: e 1'"altra riva", è la terra prima sconosciuta, inesplorata, inaccessibile, data dalle antiche mitologie e dalle antiche tradizioni con i simboli più vani, fra i quali è però frequentissimo quello della isola, immagine per la fermezza interiore, per la calma e il dominio di colui che ha felicemente e vittoriosamente "navigato" portandosi fra le onde o l'impetuosa corrente, ma senza divenirne preda. 

L'attraversare una grande corrente a nuoto o come pilota di un battello era fase simbolica fondamentale nella cosiddetta "iniziazione regale" che si celebrava ad Eleusi. Giano, l'antica divinità della Romanità, dio dei cominciamenti e quindi anche, in senso eminente, della iniziazione quale "vita nova", era anche dio del navigare; aveva fra le sue insegne caratteristiche la nave. E questa nave di Giano, come pure le sue due chiavi son passate poi nella tradizione cattolica, figurando nella nave di San Pietro e, in genere nel simbolismo della funzione ponteficale. Ora si potrebbe rilevare che lo stesso termine pontifex, nelle antiche etimologie romane, significava il "facitore di ponti"; che pons però arcaicamente significava anche via e come "via" veniva anche concepito il mare, e il Ponto venne detto così per non diversa ragione. Onde vediamo come, per occulte trame, fino in parole e in segni, oggi quasi non più compresi, si siano trasmessi elementi dell'antica concezione del navigare come simbolo.

Nel mito caldaico dell'eroe Gilgamesh noi troviamo un esatto fac-simile di quello dell'Eracle dorico che coglie il frutto di immortalità del giardino delle Esperidi avendo traversato prima il mare, sotto la guida di Atlante il titano. Anche Gilgamesh affronta la via del mare, salpa, seguendo la via occidentale, cioè la via atlantica, verso una terra o isola, ove egli cerca "l'albero di vita", mentre l'Oceano è paragonato significativamente alle "acque oscure della morte". E se noi ci spostiamo verso l'Oriente e l'Estremo Oriente, troveremo echi di eguali esperienze spirituali legati ai simboli eroici ed epici del navigare, del guadare, del salpare.

Come l'asceta buddista fu frequentissimamente comparato a colui che affronta, taglia e vince la corrente, a colui che guada, a colui che naviga glorioso contro corrente, nelle acque essendo figurato appunto tutto quel che viene dalla sete animale di vita e di piacere, dal vincolo dell'egoismo e dall'attaccamento degli uomini - così, nello stesso Estremo Oriente si trova il tema ellenico della "traversata" e del raggiungimento di "isole", nelle quali la vita non è più mista a morte: come l'Avallon o il Mag Mell atlantico delle leggende irlandesi e celtiche. 

Ci si porti nell'Egitto antico e fin nel Messico precolombiano: direttamente o indirettamente ritroviamo non dissimili elementi. E li ritroviamo altresì nelle leggende nordico-ariane. La stessa impresa dell'eroe Siegfried nell'isola di Brunhild comprende essenzialmente il simbolismo della navigazione, della traversata del mare: Siegfried, secondo il Nibelunglied, è colui che dice: "Le vere vie del mare mi sono conosciute. Io posso condurvi sulle onde".

Noi potremmo mostrare che la stessa impresa di Cristoforo Colombo ebbe più rapporti di quel che comunemente si sappia con le oscure idee circa una terra, ove, secondo alcune leggende medioevali, si troverebbero "profeti mai morti", circa un "eliseo transatlantico" che appunto rientra nel simbolismo ora detto. Inoltre, potremmo mostrare perché il concetto del talassocrate, del "signore dei mari" o delle "acque", molto spesso si collegò anticamente con il concetto del legislatore in senso superiore (p.es. nel mito pelasgico di Minos): potremmo sviluppare l'idea racchiusa nelle figurazioni di colui "che sta sulle acque" o "cammina sulle acque" o e salvato dalle acque" (da Narâyâna a Mosè, a Romolo, a Cristo) ma tutto ciò ci porterebbe troppo lontano, e forse vi torneremo in un'altra occasione.

"Vivere non necessita. Navigare è necessario". Questa parola ancor oggi (1933 - n.d.r.) vive, ancor oggi è sentita, ed avvia una delle migliori correnti della nuova epica dell'azione - "Dobbiamo tornare ad amare il mare, a sentire l'ebbrezza del mare, perché vivere non necesse sed navigare necesse est" ebbe a dire lo stesso Mussolini. Ma in questa formula, presa nel suo aspetto più alto, non sussiste forse l'eco di quegli antichi significati? 

Non sussiste forse l'idea del navigare come più che vita, come attitudine eroica, come avviamento a forme superiori di esistenza?

Che là dove regna il grande, libero respiro del largo, ove si sente tutta la forza di ciò che è senza limiti, sia nella sua calma possente e profonda, sia nella sua terribilità elementare - che sui mari e sugli oceani nuove generazioni sappiano dare "epicamente" alla vicenda fisica del navigare un'anima metafisica, tanto da conferire allo stesso eroismo e allo stesso ardire il valore di un mezzo trasfigurante e da risuscitare così ciò che si celava nelle antiche tradizioni del salpare e del navigare come simbolo e del mare come via verso qualcosa di non più e di non soltanto umano - questo ci sembra uno dei punti più alti che possono orientare le forze di resurrezione in atto nella nuova Italia.


autore/curatore: Julius Evola
fonte: Simboli della Tradizione Occidentale
data di pubblicazione su juliusevola.it: 08/11/2004
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15 luglio 2019

Cittadella - A. de Saint-Exupéry | Si fonda quello che si fa



Si fonda quello che si fa e basta. E se tu, perseguendo uno scopo, pretenderai di raggiungere un altro diverso dal primo, sarai creduto abile solo da chi è vittima delle parole. Perché quello che tu fondi in fin dei conti, è soltanto ciò a cui tendi in un primo tempo e nient’altro. Fondi quello di cui ti occupi e nient’altro, anche se te ne occupi per combatterlo. Io fondo il mio nemico se gli faccio guerra. Lo plasmo e lo rafforzo. E se ho la vana pretesa di rendere più dura la mia costrizione in vista di libertà future, quello che fondo è la costrizione. Perché non si può fingere con la vita. [..]

Se faccio la guerra per ottenere la pace fondo la guerra. La pace non è uno stato che si possa raggiungere attraverso la guerra. Se credo nella pace conquistata con le armi, quando disarmo muoio. Perché la pace la posso stabilire soltanto se fondo la pace. [..]


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1 luglio 2019

La statua di Garibaldi e qualche riflessione sul Risorgimento



L'almanacco storico civitavecchiese ci ricorda che oggi 29 giugno, del 1890, venne installata sul lungomare omonimo la statua di Giuseppe Garibaldi. La notizia è adornata con una fotografia dell'epoca, con cittadini in festa su un viale decorato di bandiere, tra cui scorgiamo, guarda caso quella del Regno Unito, con il maestoso Grand Hotel delle Terme sullo sfondo (danneggiato gravemente durante i bombardamenti anglo-americani e raso al suolo dalle autorità nel dopoguerra). 

A tal riguardo, cogliamo l'occasione per invitare a una riflessione, sul c.d. Risorgimento e sulla figura controversa di Giuseppe Garibaldi, mediante le dichiarazioni del Procuratore della Repubblica di Catanzaro. 



Come già ricordato, gli eventi del periodo risorgimentale vengono artificiosamente rivestiti di un carattere nazionale in maniera tale da occultare la tendenzialità sovvertitrice volta a imporre, per opera di pochi, l'ordine ideologico derivante dalla rivoluzione francese. Con questo non si vuole tuttavia misconoscere gli uomini ai quali, in buona fede e con il loro sacrificio, l'Italia deve la sua unificazione e indipendenza ma attirare l'attenzione verso le idee principali in funzione delle quali fu realizzato tutto ciò.
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Civitavecchia è in festa: sul lungomare tutto imbandierato, davanti al Grand Hotel delle Terme, è inaugurato il monumento a Giuseppe Garibaldi, opera dello scultore civitavecchiese Filippo Matteini.
 Il progetto della statua, anzi delle statue perché se ne voleva dedicare una anche a re Vittorio Emanuele II, era di qualche anno precedente.
 Sul giornale "Il Risorgimento" del 19 giugno 1887 leggiamo che i monumenti a Garibaldi e al re erano stati deliberati dal Consiglio comunale nel 1883 ed affidati rispettivamente ai due scultori civitavecchiesi Matteini e Ridolfi. In quell'anno il monumento al generale era già pronto mentre quello al sovrano era ancora da completare. Alla fine, le due inaugurazioni si tengono a distanza di poche settimane fraloro entrambe nel 1890.
 Il corteo parte alle 11 da Via Adriana, prosegue per le piazze Vittorio Emanule, Cavour, Plebiscito. Entra in viale Garibaldi alle ore 11.30 dove è inaugurato il monumento.
 Il corteo si apre con il plotone dei Pompieri, seguiti dai garibaldini, dalla prima banda musicale, dal comitato direttivo, dai sindaci della Provincia, dalla rappresentanza massonica. A seguire i veterani, il Tiro a segno, un'altra banda musicale, i rappresentanti delle associazioni forestiere, gli alunni delle scuole elementari, un'altra banda musicale, a chiudere le associazioni cittadine.
 Il discorso ufficiale d'inaugurazione della statua è tenuto dall'onorevole Giovanni Bovio.
 Quel giorno, per l'occasione, uscì il giornale "Leandro", di cui si conosce quel solo numero dedicato all'avvenimento.
Da bollettino N° 8/9(17) della Società Storica Civitavecchiese 
(via gruppo facebook Osteria della Memoria Civitavecchiese)
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