La nuova statua del bacio ci rappresenta nella memoria e nell'identità

Il posizionamento della statua “Il bacio della memoria di un porto” restituisce finalmente alla città un po’ di bellezza, di bontà e di giustizia

Incontro con il Sindaco per intitolare una piazza alle vittime dei bombardamenti

Il Comitato 14 Maggio ha avanzato una richiesta scritta di intitolare il piazzale compreso tra via Mazzini e Via Gorizia alle vittime civili dei bombardamenti anglo-americani

Anniversario della nascita dell'Optimus Princeps, il fondatore di Civitavecchia

Ogni nuovo Imperatore dopo Traiano veniva salutato dal Senato con l'augurio: possa tu essere più fortunato di Augusto e migliore di Traiano (Felicior Augusto, melior Traiano)

Recensione della nostra visita presso la Macchina del Tempo Civitavecchia

E’ una calda sera di agosto quella che ci vede, insieme ad alcuni simpatizzanti, in visita presso la Macchina del Tempo, progetto inedito a cura di Roberta Galletta, divulgatrice storica

14 maggio, Anniversario dei bombardamenti anglo-americani su Civitavecchia

Il Comitato ha deposto un omaggio floreale presso il Monumento alle Vittime civili dei Bombardamenti, partecipando alla cerimonia ufficiale insieme alle autorità locali per ricordare quanti hanno perso la vita durante la 1° incursione aerea alleata.

17 febbraio 2019

17 Febbraio, anniversario della nascita del grande compositore civitavecchiese Vincenzo Pucitta


Vincenzo Pucitta, operista, accompagnatore e collaboratore per lungo tempo del famoso soprano Angelica Catalani, lascia una trentina di opere, molte oggi completamente dimenticate.
Nato a Civitavecchia, Vincenzo Pucitta studia a Napoli presso il Conservatorio della Pietà dei Turchini; tra i suoi maestri più importanti si ricordano Nicola Sala e Fedele Fenaroli.
Il suo esordio come operista è segnato dall’opera “Le nozze senza sposa”, rappresentata nel 1800 al Teatro Ducale di Parma; l’anno successivo presenta alla Scala di Milano “Il furisco”, con il quale raggiunge una buona notorietà. Diventa famoso, poi, componendo espressamente per Angelica Catalani, adeguando la musica alle sue caratteristiche vocali; del soprano diventa l’accompagnatore seguendola in tutte le sue tournées. Dimorando a Londra, Vincenzo Pucitta ottiene per gli anni dal 1809 al 1814 l’incarico di direttore dell’orchestra del King’s Theatre; raggiunge l’apice della sua carriera con l’opera “Aristodemo”, rappresentata nel 1814 alla presenza dei reali inglesi, dello zar Alessandro I e di Federico Guglielmo III di Prussia.
Lasciata l’Inghilterra, Pucitta presenta a Parigi “L’orgoglio avvilito” (1815) e “La principessa in campagna o Il marchese nell’imbarazzo” (1817); a Trieste “Il maestro di cappella” (1818) e a Roma “La festa del villaggio” (1822). Seguiranno altri lavori senza, tuttavia, suscitare grande interesse e, gradatamente, Vincenzo Pucitta s’incammina verso l’oblio.





Fonte: www.diesisebemolle.wordpress.com
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13 febbraio 2019

La consegna a Civitavecchia della bandiera di combattimento della corazzata Roma nella stampa dell'epoca

Oltre la Domenica del Corriere anche la Tribuna Illustrata dedicò una copertina per la consegna della bandiera di combattimento alla corazzata Roma. L'evento accadde il 3 ottobre 1909 nel porto di Civitavecchia. Per notizie più dettagliate consultate l'almanacco curato da Gigi Veleno. 

ALMANACCO STORICO CIVITAVECCHIESE 
3 ottobre 1909 l'intera cittadinanza, in una giornata solare, e con un mare tranquillo, accorre su vaporetti, barche e lacconi attorno alla Regia nave "Roma" per assistere alla consegna della bandiera di combattimento. Sulla Domenica del Corriere leggiamo:
"Feste marinare. La bandiera di battaglia alla "Roma". Domenica scorsa a Civitavecchia ebbe luogo la cerimonia della consegna della bandiera di battaglia donata dalla Lega navale alla corazzata Roma. E fu cerimonia solenne per concorso di autorità e di molte migliaia di curiosi. La tolda della bella corazzata era invasa da sciami di eleganti signore tutte infiorate. Dopo la funzione religiosa celebrata da mons. Beccarla, cappellano di corte, il vescovo di Civitavecchia essendosi eclissato, parlarono in parecchi, fra cui il comandante della Roma, capitano Corsi, e il sottosegretario della Marina Aubry. Quindi fra le musiche, gli applausi e il tuonar delle artiglierie la fiammante bandiera venne issata dai marinai su l'albero..."
DA: bollettino 8/9 della Società Storica Civitavecchiese

(via Osteria della Memoria)





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10 febbraio 2019

10 Febbraio – Giorno del Ricordo dei Martiri delle Foibe e dell’Esodo istriano, giuliano e dalmata




Riportiamo due brevi estratti raccontati da due reduci da terribili esperienze. A memoria delle sofferenze sopportate dalla popolazione di origine italiana, nelle terre di Istria, fiume e Dalmazia.

Dalle esecuzioni nelle foibe qualcuno uscì miracolosamente vivo. Uno dei pochissimi casi conosciuti è quello del protagonista di questo racconto, che si riferisce a un episodio accaduto nei pressi di Albona nell’autunno del 1943.

Dopo giorni di dura prigionia, durante i quali fummo spesso selvaggiamente percossi e patimmo la fame, una mattina, prima dell’alba, sentì uno dei nostri aguzzini dire agli altri:< Facciamo presto, perché si parte subito >.Infatti poco dopo fummo condotti in sei, legati insieme con un unico fil di ferro, oltre quello che ci teneva avvinte le mani dietro la schiena, in direzione di Arsia. Indossavamo solo i pantaloni e ai piedi avevamo solo le calze.

Un chilometro di cammino e ci fermammo ai piedi di una collinetta dove, mediante un fil di ferro, ci fu appeso alle mani legate un sasso di almeno venti chilogrammi .Fummo sospinti verso l’orlo di una foiba, la cui gola si apriva paurosamente nera.

Uno di noi, mezzo istupidito per le sevizie subite, si gettò urlando nel vuoto, di propria iniziativa. Un partigiano allora, in piedi col mitra puntato su di una roccia laterale, ci impose di seguirne l’esempio. Poiché non mi muovevo, mi sparò contro. Ma a questo punto accdde il prodigio: il proiettile anziché ferirmi spezzò il fil di ferro che teneva legata la pietra, cosicché quando mi gettai nella foiba, il sasso era rotolato lontano da me.

La cavità aveva una larghezza di circa 10 metri e una profondità di 15 fino alla superficie dell’acqua che stagnava sul fondo. Cadendo, non toccai fondo, e tornato a galla potei nascondermi sotto una roccia. Subito dopo vidi precipitare altri quattro compagni colpiti da raffiche di mitra e percepii le parole – Un’altra volta li butteremo di qua , è più comodo -pronunciate da uno degli assassini. Poco dopo fu gettata nella cavità una bomba che scoppiò sott’acqua schiacciandomi con la pressione dell’aria contro la roccia. Verso sera riuscii ad arrampicarmi per la parete scoscesa e a guadagnare la campagna, dove rimasi per quattro giorni e quattro notti consecutivi, celato in una buca. Tornato nascostamente al mio paese per timore di ricadere nelle grinfie dei miei persecutori, fuggii a Pola. E solo allora potei dire di essere veramente salvo.

Nel manicomio di Lubiana: la testimonianza di un reduce.

La testimonianza che segue è tratta dalla relazione di un ufficiale di Marina Italiano detenuto a lungo nell’ex manicomio di Lubiana.

Il 26 giugno fummo messi tutti assieme in una cella misurante 7 metri per 14. Eravamo in 126[…]

A capriccio dei secondini di servizio venivamo chiamati fuori dalla cella , a turno, alcuni di noi, e senza alcuna ragione plausibile, venivano fatti segno a colpi di mitra , pugni e schiaffi […] L’acqua, eravamo in luglio, veniva misurata; cinque o sei sorsi a testa al giorno.Divieto assoluto per usare acqua per lavarsi. IL cibo costituito da verdura secca bollita produsse ben presto tra di noi l’insorgere di diarrea.Negata ogni assistenza sanitaria […].

Il 23 dicembre 1945, a sera, una trentina di noi vennero stralciati dal gruppo in base ad in elenco prestabilito, legati con le mani dietro la schiena a mezzo di filo di ferro e trasportati ad ignota destinazione con dei camions. L’indomani mattina gli automezzi fecero ritorno recando indumenti che noi riconoscemmo come già appartenenti ai nostri compagni partiti la sera innanzi. Ai nostri occhi tale fatto assunse l’aspetto di un macabro indizio. Il 30 dicembre un’altra trentina di noi subiva la stessa sorte, seguiti il 6gennaio 1946 da un terzo ed ultimo scaglione di 36 persone[…]

Nel frattempo erano morti Z. e B. Successivamente anche i tre della cella vicino alla nostra cessarono di vivere uno alla volta. Ricordo con particolare raccapriccio il povero B ( un ragazzo triestino di 18 anni facente parte della brigata”Venezia Giulia” del corpo Volontari della Libertà) ridotto ad un pietoso relitto umano da un infezione che non gli era mai stata curata. Negli ultimi giorni della sua vita rassomigliava di più ad un vecchio decadente che ad un ragazzo della sua età. La notte in cui morì udimmo gridare a lungo invocando la mamma. Quando si fece silenzio arguimmo la sua morte perché si sentì battere violentemente alla porta della cella vicina per chiamare la guardia di servizio. Poco dopo, dal tramestio che ci era perfettamente intelleggibile in tutti i suoi particolari, sapemmo che il povero B era stato tratto fuori dalla cella e temporaneamente situato nel cesso posto di fronte ad essa.
(da: “Storia e Dossier”, n. 116, maggio 1997).

Salvo per miracolo

(testimonianza di Graziano Udovisi)
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4 febbraio 2019

Ulissea, rappresentazione dissacrante di un teatro terminale (Nuovo Sala Gassman - 02/03.02.2019)

L’Iliade, l’Odissea e la Divina Commedia, bagaglio di eterna Sapienza, derise e trasformate in una parodia post-moderna al punto da farci rimpiangere la censura. È quello che è accaduto al Nuovo Sala Gassman che nell'ultimo fine settimana ha disertato dalla funzione che ci si attenderebbe da un teatro, che poi è quello che ci si attende dall'Arte, ovvero di elevare gli animi, alimentare la parte migliore di noi, coltivare la bellezza.

Quanto è avvenuto il 3 e il 4 febbraio a Civitavecchia è stato un vero e proprio inno al “nulla che avanza” e a dirlo sono gli stessi autori nella didascalia dell’”opera teatrale”:
A regnare è il "non senso" in questa parodia del classico, tanto da pretendere dallo spettatore stesso completo abbandono, noncuranza rispetto alla comprensione: unica predisposizione possibile affinché il riso possa affiorare e lo spettacolo agire. Ritmo e trasformismo sono le parole chiave dello spettacolo: una dissacrante galleria di antichi ritratti, tanto consueti da dover essere traditi perché al pubblico sia concessa la riscoperta del nuovo, con sagacia e sarcasmo.
Quella andata in scena al NSG, dunque, è un pezzo di quotidianità tra le altre, tipica della società contemporanea che profana e parodia ogni briciola di Ordine e di Bellezza rinvenutoci. Insomma, ci si aspetterebbe che se uno va al teatro non lo fa certo per ritrovarsi le volgarità che può incontrare comunque ad ogni angolo di strada, e ancora meno per vedere alcune tra le più grandi opere europee, fondamenta di una Civiltà, trasformate in una “dissacrante galleria di antichi ritratti”.

Lontani son or dunque i tempi in cui la missione del Teatro era quella sostanzialmente di offrire cibo per la mente ed elevazione spirituale, e in cui non si pretendeva dallo spettatore abbandono e noncuranza di fronte alla dissacrazione e ancor meno di personaggi incarnanti virtù come Lealtà, Fedeltà, Sacrificio. D'altronde se per molti l’Iliade, l’Odissea e la Divina Commedia rappresentano solo opere letterarie, capolavori da museo, per altri invece rappresentano dei veri e propri punti saldi di riferimento di una Civiltà il cui fuoco arde imperituro sotto le ceneri della società moderna.

Comitato 14 Maggio

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Comitato 10 Febbraio

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Movimento per la Vita - Civitavecchia