La nuova statua del bacio ci rappresenta nella memoria e nell'identità

Il posizionamento della statua “Il bacio della memoria di un porto” restituisce finalmente alla città un po’ di bellezza, di bontà e di giustizia

Incontro con il Sindaco per intitolare una piazza alle vittime dei bombardamenti

Il Comitato 14 Maggio ha avanzato una richiesta scritta di intitolare il piazzale compreso tra via Mazzini e Via Gorizia alle vittime civili dei bombardamenti anglo-americani

Anniversario della nascita dell'Optimus Princeps, il fondatore di Civitavecchia

Ogni nuovo Imperatore dopo Traiano veniva salutato dal Senato con l'augurio: possa tu essere più fortunato di Augusto e migliore di Traiano (Felicior Augusto, melior Traiano)

Recensione della nostra visita presso la Macchina del Tempo Civitavecchia

E’ una calda sera di agosto quella che ci vede, insieme ad alcuni simpatizzanti, in visita presso la Macchina del Tempo, progetto inedito a cura di Roberta Galletta, divulgatrice storica

14 maggio, Anniversario dei bombardamenti anglo-americani su Civitavecchia

Il Comitato ha deposto un omaggio floreale presso il Monumento alle Vittime civili dei Bombardamenti, partecipando alla cerimonia ufficiale insieme alle autorità locali per ricordare quanti hanno perso la vita durante la 1° incursione aerea alleata.

27 maggio 2021

Ricostruzione grafica dell'antica Porta Romana

L'ultimo interessante articolo di Silvio Serangeli pubblicato ieri su SpazioLiberoBlog, con una delle esattissime vedute di Arnaldo Massarelli, mi suggerisce un facile fotomontaggio, che forse può chiarire meglio la posizione della Porta Romana della cinta cosiddetta del Sangallo, ultimata da papa Pio V Ghisleri.

Francesco Correnti




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25 maggio 2021

Celebrazioni per la cattura di una nave pirata nella darsena del porto di Civitavecchia


Questo è un grande dipinto di Charles Fracois La Croix, che si trova nel museo di Roma  (palazzo Braschi). Il critico d’arte Federico Zeri ebbe a riferire in un catalogo che si trattava di una grande festa con fuochi d’artificio nella darsena del porto di Civitavecchia. Non c’è nulla di certo ma essendo stato dipinto nel 1755 il soggetto, com’egli suppone, dovrebbe riguardare la visita di Benedetto XIV a Civitavecchia per festeggiare la cattura di una nave pirata

In effetti, consultando uno dei libri di Odoardo Toti, questi cita un episodio menzionato dal Guglielmotti in cui, il 20 ottobre 1755, tra Montecristo e il Giglio fu effettivamente catturato, dalla fregata pontificia San Paolo, un pinco algerino munito di ben 24 cannoni. Nel combattimento perirono, oltre al rais, 35 marinai, mentre altri 100 furono fatti prigionieri e resi schiavi. Perì purtroppo anche un cannoniere civitavecchiese che faceva di cognome Capuani. 

Quella che si vede in primo piano è possibile che sia proprio la fregata San Paolo, affiancata sulla sinistra dal pinco catturato. 

Fregata San Paolo con affianco la nave catturata

Da notare nel quadro, in mezzo a popolani un gruppo di persone con vesti molto eleganti, presumibilmente appartenenti alla nobiltà romana. A tal proposito ricordo che Benedetto XIV, tra tanti i provvedimenti da lui presi, va segnalata la bolla "Urbem Romam", promulgata il 4 gennaio 1746 che istituiva un Albo del ceto nobile romano, in cui vennero inserite 180 famiglie patrizie romane. Da ricordare anche che questo papa potenziò la flotta pontificia facendo costruire in Inghilterra due navi senza remi con propulsione interamente a vela: la San Paolo e la gemella la San Pietro. Successivamente anche altri due navigli, la Clemente e la San Carlo, questa volta però, costruiti e varati proprio nell’arsenale di Civitavecchia

Da notare nel particolare di destra una fontana zampillante, di cui non mi pare sappiamo nulla della sua effettiva esistenza, una rissa tra i popolani e infine come mi fece notare in mio vecchio post l’arch, Correnti, una serie delle famose teste di leone in bronzo con gli anelli d’ormeggio appesi alle pareti sotto l’edificio della camera apostolica nel complesso della Rocca.



Bisogna pensare che il quadro non aveva una funzione documentaria ma la celebrazione di un evento con delle licenze da parte dell'autore che nell'immagine ha probabilmente aggiunto una fontana mentre i leoni che in realtà erano solo sulla parete dei magazzini difronte, non visibili per via dei fuochi d'artificio, sono stati immaginati alla base del complesso della rocca. Per un'idea migliore del posto di seguito un bel disegno di Massarelli.


Fonte: Francesco Etna

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19 maggio 2021

Resoconto delle iniziative in ricordo del 78° anniversario dei bombardamenti



Gli eventi commemorativi del 78° anniversario dal primo bombardamento alleato su Civitavecchia si sono conclusi e come di consueto ne raccontiamo una breve sintesi. .

Innanzitutto siamo lieti di annunciare che per l’occasione l’amministrazione locale ha ripristinato la vecchia denominazione di “Largo Caduti 14 Maggio” nello spiazzo dinnanzi al Monumento alle Vittime dei Bombardamenti. Un anno fa, infatti, protocollavamo un ordine del giorno chiedendo appunto l’intitolazione dell’area ai caduti civili delle incursioni aeree anglo-americane consegnando al Sindaco in persona il vecchio cartello toponomastico, spiegando come la costruzione di uno stabile in zona avesse cancellato l’omaggio a quanti avevano perso la vita sotto le bombe.
Consideriamo che la denominazione dell’area, così come anche la collocazione del cartello in modo che sia ben visibile, contribuiscano ancor di più ad  enfatizzare l’importanza del Monumento e la sua funzione per la comunità.

Per quanto riguarda la cerimonia ufficiale, svoltasi in presenza delle autorità ecclesiastiche, civili e militari, quest’anno si è tenuta in versione ristretta, per diminuire i rischi legati al contagio. A nostro avviso ciò non doveva compromettere, com’è avvenuto purtroppo, un minimo di coordinamento per quanto riguarda la deposizione dei fiori. 

La partecipazione all’evento è stata complessivamente discreta, complice anche il basso profilo che si è voluto dare alla cerimonia per ragioni sanitarie che non ha di certo spronato la partecipazione popolare. Si è fatta notare l'assenza di alcuni partecipanti degli anni passati, ma il silenzio e il raccoglimento richiesto ad una commemorazione come questa forse ne hanno giovato. In tal senso, non nutriamo dubbio sul fatto che si possa fare ancora di meglio.

Nel complesso riteniamo che la data del 14 maggio stia godendo ogni anno di una maggiore considerazione, sia da parte dell'amministrazione comunale ma anche da parte dei mezzi di comunicazione del comprensorio che in questi giorni hanno dedicato numerosi articoli e trasmissioni al tributo di guerra pagato da Civitavecchia in termini di vittime, sfollati e perdita del patrimonio architettonico. 

Molto suggestivo ed emozionante è stato come sempre, alle 15 e 12 - ritenuto il momento esatto dell’inizio dei bombardamenti sulla città – il suono delle campane di tutte le chiese in concomitanza con le sirene delle navi del porto, quasi ad evocare un grido di dolore della città stessa.












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14 maggio 2021

14 maggio '43 | La memoria è un dovere verso di noi e verso le nuove generazioni



Il 14 Maggio del 1943 rappresenta il giorno del trauma collettivo cittadino che ha segnato per sempre la vita della nostra città, i bombardamenti di Civitavecchia che le hanno completamente sfigurato il volto.

La Memoria è un dovere verso noi tutti ma soprattutto verso le nuove generazioni ed è per questo che non dobbiamo mai stancarci di ricordare tutto quello che riguarda il nostro Passato..

Perché poi le cose brutte accadute prima possono  tornare, se non c'è chi ricorda il perché sono successe.

Nulla è scontato, nulla è al sicuro anche per la nostra città.

Per questo solo ritrovando la Memoria cittadina possiamo mettere un argine alla brutalità, all' odio e alla violenza che dilaga nel nostro vivere quotidiano.

Nell'immagine [in alto] tratta dalla raccolta di foto di Armando Ornella Blasi  che ci ha lasciato una straordinaria documentazione fotografica della Civitavecchia post bombardamenti,  l'angolo tra la Terza Strada, oggi Via Treste, e la salita della Chiesa dell Stella, oggi Via Piave.

Roberta Galletta






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13 maggio 2021

Appello a partecipare alla commemorazione del 14 maggio

In occasione del 78° anniversario del primo bombardamento di Civitavecchia il Comitato 14 Maggio invita i propri simpatizzanti e la cittadinanza a coltivare la memoria comunitaria della città partecipando alla cerimonia ufficiale, in presenza delle autorità religiose, civili e militari, che si svolgerà venerdì 14 maggio presso il Monumento alle Vittime dei Bombardamenti, alle spalle della Cattedrale. 

La commemorazione ricorderà i drammatici eventi della seconda guerra mondiale  quando a partire dal 14 maggio 1943 l’aviazione anglo-americana mise in pratica il bombardamento a tappeto su Civitavecchia mediante 87 incursioni aeree che fecero ufficialmente 400 vittime tra i civili, provocando oltre 7000 sfollati e distruggendo il 90% del patrimonio storico-architetturale della città.

Per l’occasione il Comitato 14 Maggio si unirà alle autorità locali nella deposizione di un omaggio floreale dinanzi alla lapide monumentale che riporta i nomi delle vittime civili, ufficialmente note, che persero la vita in quel drammatico giorno. 

Invitiamo la cittadinanza ad aderire all’evento nel rispetto delle normative sanitarie vigenti, mantenendo il distanziamento sociale.

Il direttivo del Comitato 14 Maggio



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10 maggio 2021

Comitato 14 Maggio invitato a TalkCity per ricordare il 78° anniversario dei bombardamenti


In vista del 14 maggio, anniversario dei bombardamenti alleati su Civitavecchia, abbiamo ricordato insieme a Sara Sansone e al Gen. Daniele Di Giulio le vittime delle 87 ondate aeree sulla città. 

In particolare il Gen. Di Giulio, esperto militare ha descritto il contesto storico e l'obiettivo del bombardamento a tappeto mentre il Comitato 14 Maggio ha passato in rassegna le iniziative svolte sul territorio e quelle ancora in programma al fine di ricordare i tragici eventi bellici che hanno distrutto oltre l'80% della città e causato ufficialmente 400 vittime insieme ad oltre 7000 sfollati. 



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1 maggio 2021

Un tempo gli operai non erano servi, di Charles Péguy


Un tempo gli operai non erano servi.

Lavoravano. Coltivavano un onore, assoluto, come si addice a un onore.

La gamba di una sedia doveva essere ben fatta.

Era naturale, era inteso.

Era un primato.

Non occorreva che fosse ben fatta per il salario o in modo proporzionale al salario.

Non doveva essere ben fatta per il padrone, né per gli intenditori, né per i clienti del padrone.

Doveva essere ben fatta per sé, in sé, nella sua stessa natura.

Esigevano che quella gamba fosse ben fatta.

E ogni parte della sedia che non si vedeva era lavorata con la medesima perfezione delle parti che si vedevano.

Secondo lo stesso principio con cui costruivano le cattedrali.

E sono solo io – ormai così imbastardito – a farla adesso tanto lunga.  Per loro, in loro non c’era allora neppure l’ombra di una riflessione.

Il lavoro stava là.

Si lavorava bene.

Non si trattava di essere visti o di non essere visti.

Era il lavoro in sé che doveva essere ben fatto.


Charles Péguy, da L’argent

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1 maggio | San Giuseppe, esempio della figura del padre


Il nome Giuseppe è di origine ebraica e sta a significare “Dio aggiunga”, estensivamente si può dire “aggiunto in famiglia”. Può essere che l’inizio sia avvenuto col nome del figlio di Giacobbe e Rachele, venduto per gelosia come schiavo dai fratelli. Ma è sicuramente dal padre putativo, cioè ritenuto tale, di Gesù e considerato anche come l’ultimo dei patriarchi, che il nome Giuseppe andò diventando nel tempo sempre più popolare. In Oriente dal IV secolo e in Occidente poco prima dell’XI secolo, vale a dire da quando il suo culto cominciava a diffondersi tra i cristiani. Non vi è dubbio tuttavia che la fama di quel nome si rafforzò in Europa dopo che nell’Ottocento e nel Novecento molti personaggi della storia e della cultura lo portarono laicamente, nel bene e nel male: da Francesco Giuseppe d’Asburgo a Garibaldi, da Verdi a Stalin, da Garibaldi ad Ungaretti e molti altri ancora. San Giuseppe fu lo sposo di Maria, il capo della “sacra famiglia” nella quale nacque, misteriosamente per opera dello Spirito Santo, Gesù figlio del Dio Padre. E orientando la propria vita sulla lieve traccia di alcuni sogni, dominati dagli angeli che recavano i messaggi del Signore, diventò una luce dell’esemplare paternità. Certamente non fu un assente. È vero, fu molto silenzioso, ma fino ai trent’anni della vita del Messia, fu sempre accanto al figliolo con fede, obbedienza e disponibilità ad accettare i piani di Dio. Cominciò a scaldarlo nella povera culla della stalla, lo mise in salvo in Egitto quando fu necessario, si preoccupò nel cercarlo allorché dodicenne era “sparito’’ nel tempio, lo ebbe con sé nel lavoro di falegname, lo aiutò con Maria a crescere “in sapienza, età e grazia”. Lasciò probabilmente Gesù poco prima che “il Figlio dell’uomo” iniziasse la vita pubblica, spirando serenamente tra le sue braccia. Non a caso quel padre da secoli viene venerato anche quale patrono della buona morte. San Giuseppe non è solamente il patrono dei padri di famiglia come “sublime modello di vigilanza e provvidenza” nonché della Chiesa universale, con festa solenne il 19 marzo. Egli è oggi anche molto festeggiato in campo liturgico e sociale il 1° maggio quale patrono degli artigiani e degli operai, così proclamato da papa Pio XII. Papa Giovanni XXIII gli affidò addirittura il Concilio Vaticano II. Vuole tuttavia la tradizione che egli sia protettore in maniera specifica di falegnami, di ebanisti e di carpentieri, ma anche di pionieri, dei senzatetto, dei Monti di Pietà e relativi prestiti su pegno. Viene addirittura pregato, forse più in passato che oggi, contro le tentazioni carnali. Che il culto di San Giuseppe abbia raggiunto in passato vette di popolarità lo dimostrano anche le dichiarazioni di moltissime chiese relative alla presenza di sue reliquie. Per fare qualche esempio particolarmente significativo: nella chiesa di Notre-Dame di Parigi ci sarebbero gli anelli di fidanzamento, il suo e quello di Maria; Perugia possiederebbe il suo anello nuziale; nella chiesa parigina dei Foglianti si troverebbero i frammenti di una sua cintura. Ancora: ad Aquisgrana si espongono le fasce o calzari che avrebbero avvolto le sue gambe e i camaldolesi della chiesa di S. Maria degli Angeli in Firenze dichiarano di essere in possesso del suo bastone.

Cosa faceva san Giuseppe?

In Matteo 13,55 la professione di Giuseppe viene nominata quando si dice che Gesù era figlio di un “téktón”. Il termine greco téktón è stato interpretato in vari modi. Si tratta di un titolo generico che veniva usato per operatori impegnati in attività economiche legate all’edilizia, dunque in senso stretto non doveva appartenere a una famiglia povera, non si limitava ai semplici lavori di un falegname ma esercitava piuttosto un mestiere con materiale pesante, che manteneva la durezza anche durante la lavorazione, per esempio legno o pietra. Accanto alla traduzione – accettata dalla maggior parte dagli studiosi – di téktón come carpentiere, alcuni hanno voluto accostare quella di scalpellino. Gesù a propria volta praticò il mestiere del padre. Il primo evangelista ad usare questo titolo è stato Marco che definisce Gesù un téktón in occasione di una visita a Nazaret, osservando che i concittadini ironicamente si chiedono: “Non è costui il téktón, il figlio di Maria?”. Matteo riprende il racconto di Marco, ma con una variante: “Non è egli (Gesù) il figlio del téktón?”. Come è evidente, qui è Giuseppe ad essere iscritto a questa professione. Nei tempi antichi, i Padri latini della Chiesa hanno però tradotto il termine greco di téktón con falegname, dimenticando forse che nella Israele di allora il legno non serviva soltanto per approntare aratri e mobili vari, ma veniva usato come vero e necessario materiale per costruire case e qualsiasi edificio. Infatti, oltre ai serramenti in legno, i tetti a terrazza delle case israelite erano allestiti con travi connesse tra loro con rami, argilla, fango e terra pressata, tant’è vero che il Salmo 129 descrive come sui tetti crescesse l’erba.


Origini e sposalizio con Maria

Le notizie dei Vangeli su san Giuseppe sono molto scarne. Parlano di lui Matteo e Luca: essi ci dicono che Giuseppe era un discendente del re Davide ed abitava nella piccola città di Nazaret. Le versioni dei due evangelisti divergono nell’elencare la genealogia di Gesù, compreso chi fosse il padre di Giuseppe: Luca 3,23-38: Gesù quando incominciò il suo ministero aveva circa trent’anni ed era figlio, come si credeva, di Giuseppe, figlio di Eli, Matteo 1,1-16: Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù chiamato Cristo. Secondo la tradizione degli apocrifi, in particolar modo il Protoevangelo di Giacomo (II secolo) Giuseppe, discendente dalla famiglia di David e originario di Betlemme, prima del matrimonio con Maria si sposò con una donna che gli diede sei figli, quattro maschi (Giuda, Giuseppe, Giacomo e Simeone) e due femmine (Lisia e Lidia). Rimase però ben presto vedovo e con i figli a carico. Gli apocrifi cercavano in tal modo di giustificare la presenza di fratelli di Gesù nei Vangeli. La Chiesa ortodossa accoglie questa tradizione (come ben mostrato nei mosaici della chiesa di San Salvatore in Chora, a Costantinopoli), mentre la Chiesa cattolica rifiuta questa interpretazione, e sostiene che si trattava di cugini o altri parenti stretti (in greco antico vi sono due termini distinti: adelfòi, fratelli, e sìnghnetoi, cugini, ma in ebraico e in aramaico una sola parola, ah, è usata per indicare sia fratelli sia cugini. Seguendo ancora la tradizione apocrifa, Giuseppe, già in età avanzata, si unì ad altri celibi della Palestina, tutti discendenti di Davide, richiamati da alcuni banditori provenienti da Gerusalemme. Il sacerdote Zaccaria aveva infatti ordinato che venissero convocati tutti i figli di stirpe reale per sposare la giovane Maria, futura madre di Gesù, allora dodicenne, che era vissuta per nove anni nel tempio. Per indicazione divina, questi celibi avrebbero condotto all’altare il loro bastone, Dio stesso ne avrebbe poi fatto fiorire uno, scegliendo così il prescelto. Zaccaria entrato nel tempio chiese responso nella preghiera, poi restituì i bastoni ai legittimi proprietari: l’ultimo era quello di Giuseppe, era in fiore e da esso uscì una colomba che si pose sul suo capo. Giuseppe si schermì facendo presente la differenza d’età, ma il sacerdote lo ammonì a non disubbidire alla volontà di Dio. Allora questi, pieno di timore, prese Maria in custodia nella propria casa.


Il dubbio dinanzi alla gravidanza di Maria e il sogno

La vicenda di Maria e Giuseppe ha inizio nei Vangeli con l’episodio dell’Annunciazione: Nel sesto mese l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe, la vergine si chiamava Maria. Giuseppe è presentato come il discendente di Davide, sposo della Vergine divenuta protagonista del Mistero dell’Incarnazione. Per opera dello Spirito Santo, Maria concepì un Figlio “che sarà chiamato Figlio dell’Altissimo”. L’angelo a conferma dell’evento straordinario, le disse poi che anche la cugina Elisabetta benché sterile, aspettava un figlio. Maria si recò subito dalla parente e al suo ritorno, essendo già al terzo mese, erano visibili i segni della gravidanza. In queste circostanze “Giuseppe suo sposo che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di allontanarla in segreto” come dice il Vangelo di Matteo. L’uomo non sapeva come comportarsi di fronte alla miracolosa maternità della moglie: certamente cercava una risposta all’inquietante interrogativo, ma soprattutto cercava una via di uscita da una situazione difficile. Ecco però che gli apparve in sogno un angelo che gli disse: “Giuseppe figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Ella partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli salverà il suo popolo dai suoi peccati”. Destatosi dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo e prese con sé la sua sposa, accettandone il mistero della maternità e le successive responsabilità.


La vita “nascosta” di Nazaret

I Vangeli riassumono in poche parole il lungo periodo della fanciullezza di Gesù, durante il quale questi, attraverso una vita apparentemente normale, si preparava alla sua missione. Un solo momento è sottratto a questa “normalità” ed è descritto dal solo Luca. Gesù, a dodici anni, partì come pellegrino insieme coi genitori verso Gerusalemme per festeggiarvi la festa di Pasqua. Trascorsi però i giorni della festa, mentre riprendeva la via del ritorno, Gesù rimase a Gerusalemme, senza che Maria e Giuseppe se ne accorgessero. Passato un giorno se ne resero conto e iniziarono a cercarlo, trovandolo dopo tre giorni di ricerche nel tempio, seduto a discutere con i dottori. Maria gli domandò: “Figlio, perché hai fatto così? Ecco tuo padre e io, angosciati ti cercavamo”. La risposta di Gesù “Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?” lasciò i genitori senza parole. La morte di San Giuseppe-. Tornato a Nazaret, Gesù cresceva giovane e forte, sottomesso ai genitori. Quando iniziò la sua vita pubblica, molto probabilmente Giuseppe era già morto. Infatti, non è mai più menzionato dai Vangeli dopo il passo di Luca sopra citato (talvolta Gesù è chiamato “figlio di Giuseppe”, ma questo non implica che fosse ancora vivente). Inoltre, quando Gesù è in croce, affida Maria al suo discepolo Giovanni, il quale “da quel momento la prese nella sua casa”, il che non sarebbe stato necessario se Giuseppe fosse stato in vita. Secondo l’apocrifo “Storia di Giuseppe il falegname”, che descrive dettagliatamente il trapasso del santo, Giuseppe aveva ben centoundici anni quando morì, godendo sempre di un’ottima salute e lavorando fino al suo ultimo giorno. Avvertito da un angelo della prossima morte, si reca a Gerusalemme e al suo ritorno viene colpito dalla malattia che l’avrebbe ucciso. Stremato nel suo letto, sconvolto dai tormenti, è travagliato nella mente e solo la consolazione di Gesù riesce a calmarlo. Circondato dalla sposa, viene liberato dalla visione della morte e dell’Oltretomba, scacciate subito da Gesù stesso. L’anima del santo viene quindi raccolta dagli arcangeli e condotta in paradiso. Il suo corpo viene poi sepolto con tutti gli onori alla presenza dell’intera Nazaret. Ancora oggi non sappiamo dove si trovi la tomba del santo, nelle cronache dei pellegrini che visitarono la Palestina si trovano alcune indicazioni circa il sepolcro di San Giuseppe. Due riguardano Nazaret e altre due Gerusalemme, nella valle del Cedron. L’entrata in Cielo di Giuseppe-. Grandi santi e teologi si sono mostrati convinti che Giuseppe sia stato assunto in Cielo al tempo della Risurrezione di Cristo. Così Francesco di Sales in un suo sermone: «Non dobbiamo per nulla dubitare che questo santo glorioso abbia un enorme credito nel Cielo, presso Colui che l’ha favorito a tal punto da elevarlo accanto a Sé in corpo e anima. Cosa che è confermata dal fatto che non abbiamo reliquie del suo corpo sulla terra. Così che mi sembra che nessuno possa dubitare di questa verità. Come avrebbe potuto rifiutare questa grazia a Giuseppe, Colui che gli era stato obbediente tutto il tempo della sua vita? ». A tal proposito, papa Giovanni XXIII – nel maggio del 1960, in occasione dell’omelia per la canonizzazione di Gregorio Barbarigo – ha mostrato la sua prudente adesione a quest’antica «pia credenza» secondo cui Giuseppe, come anche Giovanni Battista, sarebbe risorto in corpo ed anima e salito con Gesù in Cielo all’Ascensione. Il riferimento biblico sarebbe in Matteo 27,52 «…e i sepolcri si aprirono e molti corpi di santi morti risuscitarono. E, uscendo dai sepolcri, entrarono nella Città santa e apparvero a molti…».


La paternità di san Giuseppe

Accanto alla testimonianza circa l’origine divina di Gesù, incontriamo nei Vangeli anche quella che Gesù era ritenuto il figlio di Giuseppe. Limitiamoci a Filippo, che dice a Natanaele: “Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè nella Legge e i Profeti: Gesù, figlio di Giuseppe, di Nazaret” (Giovanni 1,45). L’esortazione di Giovanni Paolo II afferma apertamente che nella santa Famiglia “Giuseppe è il padre: non è la sua una paternità derivante dalla generazione; eppure, essa non è ‘apparente’, o soltanto ‘sostitutiva’, ma possiede in pieno l’autenticità della paternità umana, della missione paterna nella famiglia”. Il matrimonio di Giuseppe con Maria e la conseguente legittimazione della sua paternità all’interno della famiglia sono orientate verso l’incarnazione, ossia verso Gesù che ha voluto inserirsi nel mondo in modo “ordinato”. Origene, definisce Giuseppe appunto come “l’ordinatore della nascita del Signore”. Il suo matrimonio onora la maternità di Maria e garantisce a Gesù l’inserimento nella genealogia di Davide, come abbiamo visto. Ma la teologia che fa da chiave a tutta l’esortazione apostolica va ben oltre, come richiede l’unità “organica e indissolubile” tra l’incarnazione e la redenzione (n.6). Di qui l’affermazione che “san Giuseppe è stato chiamato da Dio a servire direttamente la persona e la missione di Gesù mediante l’esercizio della sua paternità: proprio in tale modo egli coopera nella pienezza dei tempi al grande mistero della redenzione ed è veramente ‘ministro della salvezza’” (n.8). La definizione “Ministro della salvezza” descrive perfettamente la grandezza di san Giuseppe, che ha avuto il singolare privilegio di servire direttamente Gesù e la sua missione, ossia la sua opera salvifica. Tutti gli Angeli e i Santi servono Gesù, ma san Giuseppe, insieme con Maria, lo ha servito “direttamente” come padre. Ciò vuol dire che molte delle opere salvifiche di Gesù, definite come “misteri della vita di Cristo”, hanno avuto bisogno della “cooperazione” di san Giuseppe. Il riferimento riguarda tutti quei “misteri della vita nascosta di Gesù”, nei quali era indispensabile l’intervento paterno. Toccava al padre, infatti, iscrivere il bambino all’anagrafe, provvedere al rito della circoncisione, imporgli il nome, presentare il primogenito a Dio e pagare il relativo riscatto, proteggere il Bambino e la madre nei pericoli della fuga in Egitto. È ancora il padre Giuseppe che ha introdotto Gesù nella terra di Israele e lo ha domiciliato a Nazaret, qualificando Gesù come “Nazareno”; è Giuseppe che ha provveduto a mantenerlo, a educarlo e a farlo crescere, procurandogli cibo e vestito; da Giuseppe Gesù ha imparato il mestiere, che lo ha qualificato come “il figlio del falegname”. Non ci vuole molto sforzo a comprendere quante cose deve fare un padre dal punto umano, civile e religioso. Ebbene, tutto questo lo ha fatto anche Giuseppe.


Preghiera a san Giuseppe

 “A te, o beato Giuseppe, stretti dalla tribolazione, ricorriamo, e fiduciosi invochiamo il tuo patrocinio, dopo quello della tua santissima sposa. Per, quel sacro vincolo di carità, che ti strinse all’Immacolata Vergine Maria, Madre di Dio, e per l’amore paterno che portasti al fanciullo Gesù, riguarda, te ne preghiamo, con occhio benigno la cara eredità che Gesù Cristo acquistò col suo Sangue, e col tuo potere ed aiuto sovvieni ai nostri bisogni. Proteggi, o provvido custode della divina Famiglia, l’eletta prole di Gesù Cristo: allontana da noi, o Padre amatissimo, gli errori e i vizi, che ammorbano il mondo; assistici propizio dal cielo in questa lotta col potere delle tenebre, o nostro fortissimo protettore; e come un tempo salvasti dalla morte la minacciata vita del pargoletto Gesù, così ora difendi la santa Chiesa di Dio dalle ostili insidie e da ogni avversità; e stendi ognora sopra ciascuno di noi il tuo patrocinio, affinché a tuo esempio e mediante il tuo soccorso, possiamo virtuosamente vivere, piamente morire e conseguire l’eterna beatitudine in cielo. Amen”. 


a cura di Ornella Felici

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Comitato 10 Febbraio

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