(www.aurhelio.it) - La grotta, i pastori, il bue e l’asino: per completare la scena della Natività mancano ancora i Re Magi e la misteriosa stella di cui parla Matteo nel suo vangelo. «Alcuni Magi» narra «giunsero da Oriente a Gerusalemme e domandavano: “Dov’è il re dei Giudei che è nato? Abbiamo visto sorgerela sua stella e siamo venuti per adorarlo”. All’udire queste parole il re Erode si turbò e con lui tutta Gerusalemme. Riuniti tutti i sommi sacerdoti e gli scribi del popolo, s’informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Messia. Gli risposero: “A Betlemme di Giudea perché così è scritto per bocca del profeta: E tu Betlemme, terra di Giuda non sei davvero il più piccolo capoluogo di Giuda: da te uscirà infatti un capo che pascerà il mio popolo, Israele”. Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme esortandoli: “Andate e informatevi accuratamente del bambino e, quando lo avrete trovato, fatemelo sapere perché anch’io venga ad adorarlo”. Udite le parole del re, essi partirono.
Ed ecco che la stella, che avevano visto nel suo sorgere, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella essi provarono una grandissima gioia
Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti poi in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero il ritorno al loro paese.» (104)
Matteo si limita a riferire che i Magi, di cui non specifica il numero, giunsero dall’Oriente guidati da una stella, adorarono il Cristo e infine gli donarono oro, incenso e mirra.
Questo episodio, che per la Chiesa è autentico, ha suscitato fin dai primi secoli in Oriente, e poi in Occidente, una collana di leggende che contengono anche elementi storici. Si pensi che uno dei Magi, chiamato nei vangeli apocrifi Gaspar, visse in quell’epoca. Si chiamava Vindhapharna, ovvero conquistatore del Farr – la «forza- splendore» – e fu tradotto in armeno in Gathaspar e in greco Gondhofares. Era un principe, e poi re, di un territorio situato in un’area fra l’attuale Afghanistan e l’India; e come spiega Mario Bussagli, «fu sicuramente un mago e un astrologo e – verosimilmente ebbe inflessioni di tipo alchimistico» (105).
L’episodio dei Re Magi è ripreso in vari vangeli apocrifi dell’infanzia (106) fra i quali due meritano di essere citati perché contengono notizie illuminanti. Nel Vangelo arabo- siriaco dell’infanzia si narra che «…vennero a Gerusalemme dei Magi, come aveva predetto Zaradusht», ovvero Zoroastro (107). In quello armeno, che è un tardo rifacimento del precedente con notevoli ampliamenti e aggiunte, appaiono i nomi dei Magi che sono tre, mentre negli altri testi il numero non era specificato: tre, forse in funzione dei tre doni. «Subito un angelo del Signore» narra il Vangelo armeno «si recò nel paese dei Persiani per avvertire i Re Magi che andassero ad adorare il neonato. E costoro, guidati da una stella per nove mesi, giunsero a destinazione nel momento in cui la vergine diventava madre. In quel tempo il regno dei Persiani dominava per la sua potenza e le sue conquiste su tutti i re che esistevano nei paesi d’Oriente, e quelli che erano i Re Magi erano tre fratelli: il primo, Melkon, regnava sui Persiani, il secondo, Balthasar, regnava sugli Indiani, e il terzo, Gaspar, possedeva il paese degli Arabi.» (108)
Essi portano, oltre ai doni, «libri scritti e sigillati dalle mani di Dio» (109). Giunti da Erode, che domanda loro come abbiano potuto sapere della nascita del re di Israele, gli dicono: «La testimonianza che noi possediamo non viene né da uomo né da altro essere vivente. un ordine divino, concernente una promessa che il Signore ha fatto in favore dei figli degli uomini, che noi abbiamo conservato fino ad oggi». «E dov’è questo libro che soltanto il vostro popolo possiede ad esclusione di tutti gli altri?» domanda Erode. I Magi rispondono: «Nessun altro popolo lo conosce né per sentito dire né per conoscenza diretta. Solo il nostro popolo ne possiede la testimonianza scritta. Quando Adamo dovette lasciare il Paradiso e Caino ebbe ucciso Abele, il Signore Iddio diede ad Adamo, come figlio della consolazione, Seth e con lui questo documento scritto, chiuso e sigillato dalle mani di Dio. Seth lo ricevette da suo padre e lo trasmise ai suoi figli, e i suoi figli ai loro figli di generazione in generazione. E fino a Noè essi ricevettero l’ordine di custodirlo con somma cura. Noè lo diede al figlio Sem, e i figli di questo ai propri figli, i quali come lo ricevettero lo trasmisero ad Abramo, e Abramo lo affidò al sommo sacerdote Melchisedech, e per questa via giunse al nostro popolo ai tempi di Ciro, re della Persia. I nostri antenati l’hanno deposto in una sala con grande onore, e così è pervenuto fino a noi che, avendo ricevuto questo scritto, abbiamo conosciuto in anticipo la nascita del nuovo monarca, figlio del re d’Israele» (110).
Dopo essere sfuggiti miracolosamente ad Erode che voleva impadronirsi dello scritto, i Magi giungono al cospetto di Gesù al quale re Melkon – ovvero Melchiorre – lo dona dicendo: «Ecco lo scritto, in forma di lettera, che tu hai lasciato in custodia dopo averlo chiuso e sigillato. Prendi e leggi il documento autentico che tu hai scritto…
Ordunque, quando Adamo dovette lasciare il Paradiso e Caino ebbe ucciso Abele, siccome Adamo era afflitto per la morte del figlio più che per aver dovuto lasciare il Paradiso, il signore Iddio fece nascere ad Adamo il figlio della consolazione, Seth. E come dapprima Adamo aveva voluto diventare un dio, Dio stabilì di diventare uomo per l’abbondanza della sua misericordia e del suo amore per il genere umano. Egli fece promessa al nostro primo padre che tramite suo avrebbe scritto e sigillato di propria mano una pergamena a caratteri d’oro con queste parole: “Nell’anno 6000, il sesto giorno [della settimana] io manderò il mio figlio unico, il Figlio dell’Uomo, che ti ristabilirà nella tua dignità primitiva. Allora tu, Adamo, unito a Dio nella tua carne immortale, potrai, come noi, discernere il bene dal male”» (111).
Il racconto echeggia sinteticamente una leggenda orientale che ispirò vari testi, fra cui il Libro della rivelazione di Adamo al figlio Seth, scoperto nel 1945 nella Biblioteca gnostica copta di Nag Hammadi, l’Opus imperfectum in Matthaeum, un’opera latina anteriore al secolo VI (112), la Cronaca di Zuqnin, redatta dal monaco e stilita I¬s45o’ sul finire del secolo VIII (113) e il Libro della Caverna dei Tesori, che ci è pervenuto nella primitiva redazione siriaca rimaneggiata da nestoriani intorno al 500 e da monofisiti nel 750 circa, oltre che nella tarda traduzione araba, Kit45ab al-Mag¬all, compilata nel secolo X (114).
Comune a queste leggende è la credenza che i Magi, i quali abitavano in Oriente ed erano gli eredi spirituali di Zoroastro, si tramandavano di padre in figlio uno scritto attribuito a Seth dove si profetizzava l’apparizione della stella ed erano scritte le istruzioni sui doni da offrire al Salvatore.
A Seth, figlio di Adamo, l’antichità giudaica attribuiva l’invenzione della scienza astrologica (115). Per questo motivo nel Vicino Oriente Seth venne facilmente identificato con Zoroastro cui si attribuivano erroneamente dottrine di origine caldea: un’eco dell’attribuzione si trova, come ho già accennato, nel Vangelo arabo-siriaco dell’infanzia dove la predizione della venuta del Cristo è attribuita a Zaradusht-Zoroastro.
I Magi, secondo la leggenda, conservavano nella Caverna dei Tesori, sul Monte delle Vittorie, i libri di Seth. Dai loro antenati avevano ricevuto anche un ordine, come narra la Cronaca di Zuqnin: «Aspettate una luce che vi sorgerà da Oriente, luce della Maestà del Padre, una luce che sorgerà in aspetto di stella sopra il Monte delle Vittorie e si fermerà sopra una colonna di luce dentro la Caverna dei Tesori dei Misteri Occulti». Avevano scelto fra di loro i dodici più saggi e più esperti nei misteri del cielo e li avevano preposti a scrutarlo per avvistare la stella preannunziata. Ogni anno, narra l’Opus imperfectum in Matthaeum, dopo la messa di ringraziamento per la raccolta delle messi, salivano al Mons Victorialis, sulla cui cima vi era una grotta presso la quale sgorgava una fonte di acqua purificatrice (116). I Magi, dopo le abluzioni rituali, restavano assorti in preghiera. Un giorno apparve finalmente la stella che conteneva l’immagine di un bambino sormontato da una croce.
Secondo la Cronaca di Zuqnin i Magi videro qualcosa «simile a una colonna di luce ineffabile la quale scese e si fermò sopra la caverna… E al di sopra di essa una stella di luce tale da non potersi descrivere: la sua luce era molto maggiore del sole, ed esso non poteva competere con la luce dei suoi raggi; e come nei giorni di nissan (117) la luna è visibile di giorno e quando sorge il sole è inghiottita nella luce di esso, così appariva il sole quando la stella sorse sopra di noi».
Appena la stella si fermò sopra la caverna «vedemmo» narrano i Magi «ancora aprirsi il cielo come una grande porta e uomini gloriosi portare sulle loro mani la stella di luce; e scesero e si fermarono sulla colonna di luce, e tutto il monte fu pieno della sua luce ineffabile a bocca umana. E vedemmo qualcosa simile a una mano d’uomo, più piccola ai nostri occhi della colonna e della stella, tale che non potevamo guardarla, e ci rafforzammo e vedemmo la stella che entrava nella Caverna dei Tesori Occulti, e la caverna splendeva oltre misura; e udimmo una voce umile e soave che ci chiamò e disse: “Entrate dentro senza dubitare e con amore, e vedrete una vista grande e mirabile…”. Ed entrammo timorosi… E obbedendo alla sua parola, gettammo i nostri sguardi e vedemmoquella luce ineffabile a bocca umana, che si era concentrata in sé e ci apparve nella corporatura di un uomo piccolo e umile, e ci disse: “Salute a voi, figli dei Misteri Occulti”».
Il Cristo che svela ai Magi la sua missione salvifica mostrandosi a ognuno con un aspetto diverso: come bambino, come giovane, come uomo brutto e afflitto, oppure crocifisso o mentre scende negli Inferi, a significare che egli è l’Unità nel molteplice.
Poi la stella li accompagna, provvedendo loro viveri e rendendo il viaggio agevole, fino alla grotta di Betlemme dove i Magi vedono «la colonna di luce scendere e fermarsi davanti alla caverna, e scendere quella stella di luce e fermarsi sulla caverna, e angeli alla sua destra e alla sua sinistra… E la colonna, la stella e gli angeli entrarono e avanzarono in quella caverna dov’era nato il mistero e la luce di vita».
Deposti i doni e ascoltato il Cristo, che rivela loro ancora una volta la sua missione di Salvatore, i Magi ripartono per l’Oriente; e mentre stanno riposando al termine della prima tappa, riappare «il segno della luce» svelandosi: «Io sono in ogni luogo e non v’è luogo ove non sono; io sono dove voi mi avete lasciato perché io sono più del sole del quale non v’è luogo del mondo che ne sia privo, pur essendo esso uno, e se venisse meno al mondo, tutti i suoi abitanti starebbero nella tenebra. Tanto più sono io che sono il Signore del sole, e la mia luce e la mia parola sono maggiori di quelle del sole».
Durante il viaggio di ritorno la stella continua ad assisterli, ma il cibo che offre procura loro anche visioni beatifiche. Tornati in patria i Magi predicano la Buona Novella finché giunge nelle loro contrade l’apostolo Tommaso che li battezza con l’olio santo (118).
Queste leggende orientali sono il frutto di un processo sincretistico che tendeva a cristianizzare le tradizioni religiose dell’area mesopotamica e iranica. Ma, come sempre avviene nei processi di assimilazione, molti aspetti della religione mazdeica e di quella caldea penetrarono nella cristianità. Né v’è da scandalizzarsi poiché la Rivelazione non è una religione ma abbraccia e illumina tutte le religioni. «L’intero paganesimo» scriveva Joseph de Maistre «non è altro che un sistema di verità corrotte e spostate; ed è sufficiente, per cosìdire, ripulirle e sistemarle al loro posto per vederle risplendere di piena luce.» (119)
D’altronde, come spiegare altrimenti il credito che Matteo dà alla notizia sui Re Magi? Deponendo loro i doni nella grotta, essi riconoscevano in Lui il centro illuminante di ogni fede.
Ma chi erano nella tradizione orientale i Magi? Mago deriva da mag che significa letteralmente dono ed esprime un particolare valore religioso di cui parlano le Gâthâ dell’Avesta, il complesso dei libri sacri dello zoroastrismo. Lo stato di mag separa ciò che è spirituale da ciò che è corporeo, porta in diretto contatto con le energie divine; sicché il mago è «colui che partecipa del mag, acquisisce un potere magico per mezzo del quale può ottenere un’illuminazione, una conoscenza fuori dell’ordinario, una visione e percezione che non sono mediate né trasmesse dagli organi fisici né dai sensi» (120).
I Magi erano originariamente una tribù dell’etnia dei Medi e poi una casta sacerdotale iranica che ebbe una profonda influenza e autorità dalla decadenza del potere dei Seleucidi, eredi della parte orientale dell’Impero di Alessandro, fino alla conquista araba. Pur riallacciandosi allo zoroastrismo erano, come spiega Bussagli, una specie di «superclero, come i depositari di un supremo sapere che, in definitiva, poteva controllare la corretta esecuzione di un rito e permetteva di avere col Sacro un contatto assai diverso da quello concesso a un normale sacerdote… Sicuramente essi ebbero una preparazione astrologica e astronomica di origine caldea, ma ampliata e approfondita… Conoscevano l’interpretazione dei sogni… Potremmo dire che i Magi, per predisposizione naturale, per preparazione, per tradizione, erano in grado di entrare in sintonia con le energie e le vibrazioni dell’universo, cogliendo i segreti della materia che essi consideravano animata» (121).
Nella tradizione mazdeica, cui essi si ispiravano, si credeva nella futura epifania di una serie di Sausyant – letteralmente: Salvatore venturo – fino al Sausyant finale che avrebbe consumato il ciclo temporale presente liberandolo definitivamente dalle potenze del male. La visione mazdeica divideva la totalità pensabile in una altezza infinita di Luce nella quale, da tutta l’eternità, abita 45ohrmazd (in avestico Ahura Mazda), il «Signore Sapienza»; e in un abisso insondabile di Tenebreche dà ricetto all’Antagonista, alla Contropotenza di negazione e di morte, Ahriman (in avestico Angra Mainya). Fra Potenza di Luce e Contropotenza di Tenebre nulla è in comune: fra di loro vi è guerra senza quartiere, di cui la creazione visibile è la scena fino alla restaurazione finale che metterà fine alla mescolanza di bene e male nella vita storica ricacciando nel loro abisso le Contropotenze demoniache.
Nello Yasht, gli inni liturgici dell’Avesta, si narra che alla fine dei dodici millenni con i quali si esaurirà il nostro ciclo presente, una fanciulla – tipificazione terrestre e visibile di Ardvi Sura, «l’Alta, la Sovrana, l’Immacolata», l’angelo-dea delle Acque Celesti – penetrerà nelle acque del lago mistico Kansaoya, da cui emerse il Monte delle Vittorie. La Luce di Gloria si farà immanente al suo corpo, e lei concepirà «Colui che deve domare tutti i malefici dei demoni e degli uomini» (122).
Il Monte delle Vittorie è la montagna delle Aurore, Ushidarena, così chiamata perché è illuminata per prima dai fuochi dell’aurora.
Ovviamente queste immagini altro non sono che simboli di un viaggio interiore dell’anima verso l’illuminazione, come lo è ogni mito per chi sa e può contemplarlo con animo puro; sicché, spiega un altro testo iranico, «la montagna illuminata per prima dai raggi dell’aurora illumina anche l’intelligenza perché aurora e intelligenza (üsha e ushi) sono una cosa sola» (123).
Su questa «montagna» i Magi avranno la rivelazione del Salvatore che per i compilatori cristiani delle leggende non poteva non essere che il Salvatore finale, Colui che avrebbe instaurato la rinnovata esistenza la cui essenza è ignea: nuova esistenza o trasfigurazione che si è voluta considerare analoga a quella annunciata dal Cristo con la «resurrezione della carne» (124).
V’è da aggiungere che l’attesa del Salvatore era diffusa in tutto il Vicino e Medio
Oriente: basti accennare alla religione mithraica, di derivazione iranica ma intrisa di elementi sia caldaici che anatolici, dove Mithra, figlio del Sole e Sole egli stesso, era considerato il futuro restauratore del cosmo nella pace e nell’armonia. «Con sfumature enormemente diverse» osserva Bussagli «l’aspirazione a un Salvatore, a un Soccorritore, a un mondo diverso e migliore riempie di sé, fra il secolo II a.C. e il III d.C., gran parte dell’Europa e dell’Asia espandendosi poi fino al Giappone.» (125)
Non era dunque né eccezionale né straordinario che i Magi potessero adorare il Cristo o come uno dei Salvatori o, secondo le leggende cristiane, come il Salvatore finale, Colui che avrebbe restaurato l’esistenza primordiale dall’essenza ignea ovvero luminosa.
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