Il terrore della morte. La tanato-fobia. Il nipotino NON deve sapere che il nonno è morto, non deve sapere che esiste la morte: dobbiamo al contrario titillare il suo ‘senso infantile d’onnipotenza’ che da grande lo porterà a crollare a terra di fronte alla prima difficoltà, al primo limite che il Reale imporrà alla sua esistenza.
Eppure, è largamente dimostrato che non esiste società tendenzialmente più depressa di quella che cerca in tutte le maniere di ‘ignorare la morte’. Perché il risultato del terrore della morte è, quasi sempre, che la morte dominerà la vita, invaderà con la sua ombra ogni istante, spingerà gli esseri verso quello che, giustamente, qualcuno chiamava ‘l’edonismo disperato’, il tentativo goffo di affogare nell’ebbrezza più scomposta il senso di precarietà. Sarà questa anche una società di schiavi, facilmente pilotabile, essenzialmente passiva.
CONTEMPLARE LA MORTE: é una costante dell’uomo vero, dell’uomo sacro.
Certe pratiche tradizionali riguardanti la morte, che al giorno d’oggi appaiono ai nostri terrorizzati contemporanei come inopportune e ‘tristi’, attingono la loro ragion d’essere dalla necessità di prendere virilmente atto della morte e quindi della provvisorietà e dell’impermanenza delle realtà grossolane. Questo, ad esempio, era il senso della ‘contemplazione del cadavere’, praticata un tempo da alcuni ordini cristiani ma anche da certe vie buddhiste la quale, al netto di certe esagerazioni e bizzarrie ‘barocche’, aveva lo scopo di ‘purificare’ (è la stessa funzione del teatro tragico presso i Greci) dalle ‘angosce della morte’.
Un tempo, il 2 Novembre, le famiglie con tanto di piccolini a seguito andavano al cimitero a ‘trovare i loro morti’. Questa tradizione, sia chiaro, non serviva affatto ‘ai morti’ – i quali NON stanno nei cimiteri, se non in qualche loro esile prolungamento psichico e che avrebbero, piuttosto, bisogno di preghiere, di riti che di fiorellini – ma serviva ai vivi.
Oggi non lo si fa più; oggi si cambia strada in macchina se passa un carro funebre. E così l’angoscia e l’insicurezza cresceranno, esattamente come un cane che ti corre dietro in sogno e che tu ti illudi di poter fuggire. Perché, in definitiva, il problema che la morte pone agli esseri è uno solo: chi non la vince (la morte) – e non ne prende coscienza – è destinato indefinitamente a morire. “Passa di morte in morte, l’essere che non riconosce in questo istante il Principio Supremo” Upanishàd). “Quante volte sei già morto perché non hai voluto accettare la morte?” (cit. un monaco del Monte Athos).
P.S.
Collegato a questo ‘terrore della morte’ vi è anche la pseudo-religiosità stucchevole del “salvi tutti”. Quando il nonno trapassa, se vuoi addolcire la pillola al nipotino, gli dirai che “è andato da Dio”. Sicuramente, indiscutibilmente. Adesso E’ FELICE. Addirittura …sta con gli Angeli (però! Ha raggiunto stati che pochissimi santi raggiungono. Forte il nonno!). Persino, “è in Dio” (però! E’ giunto alla perfetta Divinizzazione).
E’ la religione terminale del mondo contemporaneo: tutti atei – de facto – in vita, tutti Beati post-mortem. Come se il passaggio della morte, di per sé, potesse mutare la condizione spirituale di un’anima, rendere ‘santi ipso facto’.
Ora – parlo un linguaggio multiconfessionale perché so di parlare ad un pubblico multiconfessionale – mi sapete indicare, per cortesia, quale tra le Religioni e Tradizioni spirituali d’Oriente o d’Occidente ha mai promesso il Paradiso, l’Eden, la Terra di Luce, il Brahma-Loka, i Campi Elisi a tutti i defunti indiscriminatamente?
E mi dite, per cortesia, quale ‘spirito religioso e misericordioso’ – oggi ce ne sono tanti in giro, e non sono né misericordiosi né tantomeno religiosi – ha cancellato gli Inferni e persino le purificazioni dello Stato Intermedio (Purgatorio, Dogane aeree, Barzakh, Amduat, chiamatele come volete), per democratizzare il post-mortem? Crediamo davvero che sia possibile, a botte di moderna faciloneria, cancellare ciò che noi siamo (perché è da ciò che noi siamo che nasce ciò che saremo)?
Gianluca Marletta
Fonte: aurhelio.it