11 giugno 2017

La beffa della ricostruzione dell'antica Chiesa di Santa Maria

Il Messaggero -  febbraio 1960

Era la chiesa più antica e amata di Civitavecchia ma venne brutalmente spazzata via, prima dalle bombe alleate poi dalle amministrazioni del secondo dopoguerra. Si tratta della Chiesa templare di Santa Maria, la cui facciata era rivolta su quello che era corso Umberto e di cui oggi ne rimane solo il nome di una piazzetta, piazza Santa Maria per l'appunto, lungo l'attuale corso Marconi. Così come molte foto lo testimoniano, la Chiesa di Santa Maria venne gravemente danneggiata nei bombardamenti anglo-americani ma alla pari della Cattedrale e in maniera più lieve della Chiesa dei Santi Martiri Giapponesi, quest'ultima forse l'edificio sacro più danneggiato nonostante anche la considerevole distanza dai cosiddetti obiettivi militari rappresentati dall'infrastruttura portuale. La Chiesa di Santa Maria, dunque, sarebbe potuta essere ricostruita, come diverse fonti lo testimoniano, ma l'amministrazione di allora con a capo il sindaco Renato Pucci (PCI), non senza probabilmente una certa complicità delle autorità ecclesiastiche locali, decisero altrimenti. In verità, stando alla didascalia di una foto de Il Messaggero risalente al 1960 sembrerebbe che le autorità di allora abbiano potuto buttar giù l'edificio assicurando i cittadini con la storia secondo cui la Chiesa sarebbe stata ricostruita in piazza Calamatta, adirittura più bella di prima. Oggi, della vecchia chiesa Santa Maria ne è rimasto un muretto che delinea la pianta del chiostro dell'ex convento adiacente mentre in piazza Calamatta, là dove sarebbe dovuta sorgere la nuova chiesa, è stata costruita la sede diocesana con un'architettura dal dubbio gusto che nulla ha a che vedere col contesto. Quali fossero le reali intenzioni delle autorità di allora noi non abbiamo modo di saperlo, c'è tuttavia un criterio a cui ci possiamo rifare ed è quello di guardare i frutti delle azioni intraprese per capire la volontà che stette a monte. Poiché "non c'è albero buono che faccia frutti cattivi, né albero cattivo che faccia frutti buoni. Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dalle spine, né si vendemmia uva da un rovo." 

Ironia della sorte vuole che dal '46 al '49 (quindi anni chiave circa le decisioni sulla ricostruzione) e dal 1960 per un altro mandato (periodo a cui risale l'articolo de Il Messaggero) fosse alla guida della città, come abbiamo già accennato, il sindaco Renato Pucci, il cui nome è stato dato all'aula dove il 14 maggio scorso, nell'ambito delle iniziative per la commemorazione delle vittime e dei danni dei bombardamenti, ci si interrogava su com'è stato possibile che le amministrazioni del dopoguerra abbiano potuto farsi complici delle distruzioni dei monumenti (Chiesa di Santa Maria, Arsenale Bernini, etc) i quali, sebbene gravemente danneggiati, erano ancora recuperabili.

Comitato 14 Maggio







Fonte foto Il Messaggerio: Francesco Etna





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