Nell’Odissea, Omero ci parla dell’antro di Itaca in cui si aprono due porte: “l’una volta, a Borea, è la discesa degli uomini, l’altra, invece, volta a Noto, è per gli dèi, e non la varcano gli uomini, ma è il cammino degli immortali “(XIII, 102,112). L’enigma fu studiato dal neoplatonico Porfirio di Tiro (II sec. d. C.) che, riprendendo l’esegesi di Numenio di Apamea ( II sec. d. C.), vide nella spelonca omerica il simbolo del cosmo che comunica col cielo attraverso due porte: la prima, rivolta a nord verso il Tropico del Cancro – la via della discesa delle anime che giungono all’incarnazione – la seconda riservata al cammino di risalita degli immortali intesi, questi, non come dèi ma come le anime che “sono immortali per essenza” (Porfirio – de antro Nympharum 21/23). Questa seconda era rivolta verso il Tropico del Capricorno. Le porte di Itaca sono il riferimento più perspicuo ai punti solstiziali: estivo ed invernale. Quello estivo cade, per nota dottrina, il 21 giugno con i raggi solari che spiombano a 90° sul Tropico del Cancro. E’ il punto astronomico in cui il sole sembra fermarsi solis statio per poi riprendere il suo moto apparente di regressione a mo’ di gambero o di granchio – così afferma Macrobio (Saturnalia, I, 17/63) – culminando la sosta il 24, festa di San Giovanni Battista, che gli inglesi chiamano “Midsummer day” – giorno di mezza estate. In questo giorno accadono, secondo antiche leggende, fatti straordinari come il transito di forze benefiche, la discesa di miele, acqua celeste, luce. Da questo momento il sole comincia a declinare con conseguente riduzione di luce diurna. E’, questa, la fase del “San Giovanni che piange” contrapposta, per simmetria cronologica, al “San Giovanni che ride” del 27 dicembre – San Giovanni Evangelista – durante il quale il sole riprende la risalita. Molti fenomeni astronomici, suggerisce Giorgio di Santillana, sono innestati a momenti di attività agresti che hanno modellato usi e costumi e culture antiche. Dopo l’esplosione della “verde” energia primaverile, avviene il miracolo della maturazione dei frutti e delle mèssi. La spiga del grano ne è il simbolo più sacralmente significativo, riunendo in sé due aspetti di straordinaria semantica: quello solare della torrida doratura esterna e quello lunare della farina che nasce dal tormento della molitura. Fiorisce la felce maschio che in Germania è detta “Walpurgiskraut” perché si crede che nella notte magica di Valpurga del 24 giugno-descritta da Goethe (Faust. I notte di Valpurga/ Il Notte di Valpurga classica) e musicata da F. Mendelssohn-Bartholdy in forma di balletto, le streghe si servono di questo arbusto per rendersi invisibili. Fiorisce l’iperico, una delle tante “erbe di san Giovanni” che, oltre a fornire essenze liquorose tipiche del distillato “Alpestre”, protegge dai satanelli e dagli spiriti dell’aria e che, secondo Dioscoride Pedanio, guarisce dai morsi dei serpenti e dall’epilessia. E poi si celebra l’aglio – allium sativum – di cui ricordiamo la filastrocca ”Aglie e fravaglie / fattura che non quaglie. Corne e bicorne / capo alice e capa d’aglio…” o anche il proverbio “Per San Zuanne chi non compra l’aglio / per tutto l’anno non avrà guadagno”. Fiorisce l’artemisia, sacra ad Artemide e capace di allontanare demoni e conferire il dono della divinazione. In alcune parti d’Italia si usa farne scivolare, nascostamente, alcune foglie sotto il cuscino d’un malato. Se costui si addormenta la guarigione è vicina.
Molte son ancora le piante dedicate al culto solstiziale. Il lauro a cui si riferisce il mito di Apollo e della ninfa Dafne, simbolo di vittoria e di poesia (laurea); la cicoria che una leggenda romena dice essere stata una donna meravigliosa (Donna Floridor) mutata in questa umile composita per il rifiuto di concedersi al sole innamoratosi di lei; il girasole, bussola vegetale che si orienta da est ad ovest e che, sol calando, chiude i petali componendosi come donna che veli il volto con i capelli; la camomilla, la fragola, e poi l’incenso, che richiama il doppio mito della fenice risorgente e di Latona, la madre di Apollo che, prossima a partorire, si accostò a una palma (Phoenix) “Ne cinse il fusto con le braccia e le ginocchia puntò sul soffice prato / Sotto di lel sorrise la terra e il dio balzò alla luce” (Inno omerico ad Apollo, 115/117).
Noi, intanto, restiamo in attesa di vedere, come ci dicono i Sardi, nel giorno 24, il sole saltare tre volte sul mare, al tramonto, come per tre volte rimbalzò la testa del Battista appena spiccata dal busto, mentre sul tropico del Cancro, “la terra perde ombra” (Purg. XXX,89) perché “…cardine summo, stat librata dies… tam brevis in medium radiis com pellitur umbra”, e cioè: sta librato al sommo il giorno … e l’ombra è ristretta al centro dei suoi raggi (Lucano-Farsaglia IX,528/531).
Luciano Pranzetti
(via aurhelio.it)